Il giustiziere della notte - CineFatti

Il giustiziere della notte (Eli Roth, 2018)

L’anacronistico giustiziere della notte torna a colpire.

Se camminando per strada un uomo dovesse puntarmi una pistola alla tempia e chiedermi qual è il primo film con Charles Bronson che mi viene in mente avrei una sola risposta: Il giustiziere della notte diretto da Michael Winner, classe 1974. Non me ne voglia il capolavoro intramontabile di Sergio Leone né i classici di John Sturges, ma per me Bronson è Death Wish.

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Il giustiziere della notte era ed è anche un’altra cosa. Un film radicato nei suoi tempi, difficile da immaginare in un’epoca come quella che ora stanno vivendo gli USA, nei giorni successivi alla strage di Parkland. A volte però arriva la persona giusta e adatta un classico inadattabile in chiave originale, si veda lo splendido lavoro di Get Out come rivisitazione di Indovina chi viene a cena.

Fuori dal tempo

Vorrei dire Eli Roth è riuscito nella medesima impresa portata avanti con successo da Jordan Peele, davvero vorrei, ma il Death Wish appena uscito nelle sale non ha affatto la stessa portata dell’originale di oltre quarant’anni fa. È un film anacronistico figlio di un regista la cui unica intenzione è stata sempre quella di fare cinema senza concentrarsi sul mondo circostante.

Hostel e Cabin Fever possiamo al massimo considerarle riflessioni o variazioni chiuse all’interno del genere e nulla più. Ciò non vuol dire sia un male, il cinema non è obbligato a raccontare la situazione politica o sociale del momento, può seguire le tracce del cinema stesso e giocare dentro quei confini, così come fa Il giustiziere della notte con Bruce Willis, senza impegno né morale.

Poligono di tiro 2.0

Eli Roth esce mentre gli USA discutono animosamente circa nuove restrizioni sulla vendita delle armi ed elogia il suo vigilante armato per vendicare la morte della moglie e il lungo coma in cui la figlia Jordan è stata gettata. Si istruisce su YouTube su come cancellare le sue tracce, sull’utilizzo di una glock e in Tv apprende come e dove comprare le armi necessarie alla sua vendetta.

Ma non c’è uno spirito del tempo di denuncia in queste immagini, è la realtà dei fatti. La giustizia fai da te ora è possibile anche per un chirurgo senza alcuna esperienza militare ed è la soluzione migliore contro l’incapacità della polizia di contrastare il numero crescente di crimini violenti nella temibile Chicago. Insomma, l’opposto della protesta pacifica professata da Spike Lee in Chi-raq.

Quel che resta del gioco

Resta dunque da giudicare un Death Wish come film d’azione e nel suo campo regge il confronto con altri prodotti simili, perché tutto sommato Eli Roth il suo lavoro lo sa fare, anche se senza alcun guizzo né particolare lampo di genio. Meglio un Jaume Collet-Serra, mettiamola così, anche se il mondo forse non lo ricorderà. Non che oggi lo tenga in particolare considerazione.

Il meglio questo giustiziere della notte lo tira fuori quando Roth sceglie la sua strada preferita, quei rarissimi istanti splatter – per lo meno questo remake non è un PG-13 – o quando insiste sul piacere nell’uccidere provato dal suo protagonista, in particolare verso l’atteso finale, quando un Willis poco impegnato finalmente si diverte ad ammiccare a Charles Bronson.

Chiudo con una domanda semplice semplice, di cui purtroppo conosco già la risposta, ma perché Vincent D’Onofrio invece di una parte secondaria non è stato considerato come protagonista? Cosa deve fare ancora quest’uomo per dimostrare al mondo che può reggere un film da solo sulle sue spalle?

Fausto Vernazzani

Voto: 2.5/5

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