Persone ordinarie compiono atti straordinari nella trilogia di Clint Eeastwood.
Clint Eastwood è repubblicano! Crollano templi e pagine di giornale bruciano il suo nome. American Sniper ha svelato la sua vera identità. È un guerrafondaio, un amico della NRA e di tutto ciò che c’è di male al mondo. Cascò un mito, cascarono braccia, il mondo era letteralmente impreparato su come rapportarsi alla posizione politica di Eastwood ora che gli schermi l’avevano spiattellata ovunque.
Fece il giro tondo del mondo e tutti furono giù per terra, sconvolti. Sconvolse anche la vittoria di Donald Trump e ancora oggi vaghiamo increduli al pensiero di un presidente uscito fuori da un blockbuster di serie B sino-sovietico. Cosa c’è in comune tra Eastwood e Trump? Entrambi in un modo o nell’altro hanno aperto le nostre coscienze e ci hanno mostrato un lato degli USA di cui, in effetti, da stranieri, sappiamo poco.
American Sniper ha una nuova forma di rappresentare l’eroe americano. Siamo abituati a vederlo “casualmente” in posizioni di potere e/o in supereroistiche situazioni negli iper-pompati blockbuster, ma in Clint Eastwood qualcosa è scattato nel 2013/2014, con American Sniper ha iniziato una trilogia sugli eroi umani, qualsiasi, invisibili degli USA contemporanei. È l’America del Medio Oriente, delle rovine di Ground Zero.
Cos’è l’America?
Il blockbuster politically correct non si sognerebbe mai di usare la parola selvaggio per definire l’avversario nel deserto, partirebbe invece la mano allungata in suo aiuto e la colonna sonora drammatica per sottolineare la bontà dell’eroe. Clint Eastwood invece rappresenta l’uomo comune in una situazione eroica. Sono personaggi patriottici, dello strato sociale che voterebbe repubblicano e acquisterebbe M-16 al Walmart.
La nostra è una visione corrotta. Apriamo Netflix è troviamo David Letterman a farsi quattro chiacchiere coi democratici Barack Obama e George Clooney, li ascoltiamo convinti di una realtà americana sorridente e di solidi principi. Eastwood a partire da American Sniper ha invece voluto raccontarci coi mezzi del grande autore americano, gli Stati Uniti degli idoli raggiungibili dalle masse. La risposta fu, infatti, enorme.
Chesley “Sully” Sullenberger rientra nella categoria del cecchino Chris Kyle. Il suo salvataggio del volo 1549 è una risposta all’attacco contro le Torri Gemelle. Corse il rischio di commettere una strage a New York col suo Airbus, ma ottimi riflessi e una prontezza di spirito fuori dal comune (davvero?) Sully salvò i passeggeri ed evitò di precipitare nella città, distruggendo ancora una volta lo Skyline di NYC.
Ritrovare l’umanità
Tom Hanks/Sully guarda terrorizzato fuori dalla finestra, immaginando l’orrore che avrebbe potuto causare l’incidente evitato quasi per miracolo. È un gesto eroico il suo, per Clint Eastwood un appassionante ritratto di un uomo normale che messo alle strette ha risposto con coraggio senza mai perdersi d’animo. Senza mai causare alcuna vittima al suolo e al cielo degli Stati Uniti d’America. Senza un’armatura d’acciaio.
È un mai più gridato al cielo. Non accadrà ancora, non ci sarà un nuovo attacco, né un incidente traumatico a rovinare la quiete degli USA se al comando e sulle poltrone della responsabilità siederanno persone del calibro di Chesley Sullenberger. Il suo eroismo, infatti non si è consumato solo in quei secondi di panico in volo, riemerse nelle aule del tribunale dove si tentò di sminuire e distruggere il suo gesto.
Seduto sul banco degli imputati chiese alla commissione di ripetere le simulazioni contando il fattore umano, 35 secondi extra per calcolare i tempi di reazione. Altri non è se non questo il momento topico di Sully, la scena in cui al pilota viene restituita la sua umanità senza elevarla a uno stato dell’essere superiore alla norma. Sullenberger per Eastwood è uno come tanti, è come potrebbe essere ogni americano.
Persone ordinarie
Veniamo ora al meno apprezzato, Ore 15:17 – Attacco al treno (in originale 15:17 to Paris in chiaro onore del 3:10 to Yuma di Delmer Daves), in cui l’ideale dietro la produzione di American Sniper e Sully si realizza senza compromessi. Annulla le distanze tra la rappresentazione del Mito sullo schermo e la realtà nuda e cruda. Eastwood ingaggia il trio di eroi dell’attacco al treno Thalys del 21 agosto 2015.
Bradley Cooper e Tom Hanks si fanno da parte, Hollywood resta a guardare sugli spalti coi caratteristi Judy Greer, Jenna Fischer, Tony Hale e altri interpreti noti tra televisione e ruoli secondari nel cinema, esattamente come sono presentati nel racconto della vita dei tre amici Spencer Stone, Alek Skarlatos e Anthony Sadler, messo in scena sin dalla loro infanzia in un eccesso di trasparenza nel poema eroico.
Né American Sniper né Sully si erano calati tanto nella parte. Ore 15:17 è una origin story ribaltata a tutti gli effetti. Se un qualsiasi spettatore americano si fosse limitato al pensiero della vita eccezionale vissuta dal trio del Thalys ora saprà la verità: non uno di loro ha avuto successo nella vita, possibilità in più rispetto agli altri, solo una grande voglia di vivere e fare la differenza nell’esercito degli Stati Uniti d’America.
Eastwood guerrafondaio
È una pubblicità all’esercito? Ne dubito, Clint Eastwood per quanto patriota non si è mai detto favorevole alla guerra e chi conosce il suo cinema dovrebbe ben sapere quanto sia contrario. Oppure abbiamo già dimenticato Lettere da Iwo Jima e Flags of Our Fathers? Fuori questione l’idea di un Eastwood promotore dell’esercito nella sua forma belligerante, piuttosto evidenzia il legame familiare e amicale nato tra i suoi ranghi.
A un certo punto in una scena ambientata nella giovinezza di Spencer, Alek e Anthony, il primo a voce alta elogerà la guerra, ma subito dopo specificherà il perché del suo apprezzamento: il cameratismo. Ore 15:17 è un film sulla solidarietà. Tant’è che Clint Eastwood non ha scelto un altro eroe armato di fucile, ma tre amici che hanno reagito a mani nude e che conoscono il mondo attraverso passaparola e Il gladiatore.
Un altro pubblico
Insomma, quello di Eastwood degli ultimi anni è cinema di propaganda ma inteso nel senso buono del termine. American Sniper, Sully e Ore 15:17 vogliono parlare al pubblico statunitense e convincerlo a rivalutarsi credendo con maggior vigore nel potenziale umano insito dentro ogni cittadino americano. È una trilogia diretta a una categoria di spettatori specifica e dunque per questo, probabilmente, a noi suona stonato.
Ne critichiamo gli aspetti politici non considerando il pubblico di riferimento, magari dimenticando come la nostra idea degli USA altro non è se non l’immagine che gli Stati Uniti hanno di se stessi. Sono i leader del mondo libero, gli esportatori di democrazia, la patria e rifugio di ogni supereroe vivente i cui limiti d’azione non corrispondono ai confini del Nord America, ma vanno ben oltre le logiche politiche.
È una nazione in cui esistono anche altre realtà (ricordate Louisiana di Roberto Minervini?) e tra queste vi è quella descritta da Clint Eastwood. Entrando nel merito cinematografico, ovviamente, è un altro paio di maniche e forse sì, Ore 15:17 non sarà ricordato come una delle sue opere migliori, ma non a causa dei contenuti politici, da studiare e osservare con un occhio diverso dal nostro solito.