The War: il pianeta delle scimmie svela il suo cuore di tenebra.
Cesare ha la stoffa del leader naturale. Gli basta un’alzata di sopracciglia, l’incedere sinuoso tra un fiume di primati, perché gli altri lo seguano. Koba è morto ma i suoi moniti a non fidarsi degli uomini e delle scimmie loro amiche gli sopravvivono nel sonno agitato di Cesare, il leader del popolo delle scimmie rifugiatesi nella foresta dopo che gli uomini hanno dichiarato loro guerra. Gli uomini rimasti, perché un nuovo misterioso virus li sta decimando togliendo loro la parola e costringendoli a vivere in una condizione inconcepibilmente primordiale.
Semplificando all’estremo potrebbe essere questo il quesito sollevato da The War – Il pianeta delle scimmie: l’umanità risiede nell’uomo che persegue i suoi istinti (cacciando e uccidendo le scimmie nel timore di una loro ribellione) o nella bestia che, come Cesare, si macera tra mille tormenti?
Con questo terzo e ultimo capitolo della trilogia reboot del cult del 1968 basato sui romanzi di Pierre Boulle, Matt Reeves – suo anche il precedente Apes Revolution – Il pianeta delle scimmie – chiude degnamente il cerchio aperto nel 2011 con L’alba del pianeta delle scimmie.
Dal pensiero all’azione
Lo fa lo con intelligenza, coniugando uno spettacolo visivo potente a riflessioni sociologiche mai scontate, soprattutto per una produzione ad alto budget. Perché di questo si tratta: per tutto il film, a dispetto del titolo, la guerra viene mostrata solo in pochi coinvolgenti fotogrammi – al principio e sul finale – per poi lasciare spazio alle emozioni di Cesare (Andy Serkis, specialista della recitazione in motion capture ma qui davvero sorprendente) diviso tra il desiderio di mantenere la pace tra primati e uomini e il timore di seguire la strada insanguinata tracciata dal rancoroso Koba.
Azione e riflessione: due diversi fronti che Reeves – già “prenotato” per il reboot DC di Batman – gestisce con sensibilità e misura, senza timore di dilatare il ritmo del racconto. Che anzi si fa più suggestivo proprio quando rallenta e immerge lo spettatore nella scura e rigogliosa foresta accanto a Cesare e alla sua comunità scimmiesca. Una immersione totale che ci fa sentire come quegli animali meccanici che i documentaristi lasciano nella savana per studiare da vicino, senza disturbarli, gli animali nel loro habitat naturale.
Lo spettatore è un po’ questo per tutta la prima parte del film. Poi illuminato dalla luce bianca della luna irrompe lo spietato Woody Harrelson, copia sbiadita del colonnello Kurtz: un soldato sadico e vendicativo che serve a Cesare per elevarsi a monumento. Perché questo diventa lo scimpanzé evoluto attraverso una folta serie di citazioni cinefile: dall’inizio del viaggio in stile Compagnia dell’anello all’esodo verso la Terra promessa (Exodus) dalle angherie e dai piani di fuga nel campo di lavoro (La grande fuga) alle immani torture subite durante la prigionia (The Passion).
Cuore di tenebra
In 142 minuti Cesare/Andy Serkis intraprende un viaggio nel cuore di tenebra della foresta e dentro se stesso per capire fino a che punto può e vuole spingersi per vendicarsi. Al suo fianco i fedeli Maurice, Rocket, Luca e la piccola Nova (Amiah Miller) una misteriosa bambina muta incontrata lungo il cammino.
Proprio nello sguardo innocente di Nova (omaggio al personaggio omonimo interpretato da Linda Harrison nel cult del 1968?) e nella sua capacità di adattarsi ai gesti di cura e compassione delle scimmie, potremmo forse trovare la chiave di lettura di questo capitolo conclusivo della saga: una convivenza pacifica è possibile laddove si accettano le differenze. Oppure bisognerà rassegnarsi a una frattura insanabile tra scimmie e uomini. Tra uomini e uomini.
Francesca Paciulli
Voto: 4/5
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