La grande scimmia Kong è viva e lotta assieme a noi.
Siamo convinti ci sia una distanza di soli 12 anni tra Kong: Skull Island e l’ultima visita al cinema della Grande Scimmia, il King Kong di Peter Jackson, dovremmo invece rivedere la nostra visione e escludere l’autore di Bad Taste dalla lista. Fu padre di un ottimo action movie, ma il suo King Kong non aveva l’anima dei suoi predecessori, era un omaggio.
Un ritorno alla tradizione
Kong: Skull Island di Jordan Vogt-Roberts si imbarca alla ricerca dell’azione voluta da Jackson riprendendo al contempo la tradizione dei due grandi genitori, il King Kong originale ideato da Merian C. Cooper e il primo riadattamento di John Guillermin uscito nel 1976 e fin troppo bistrattato dalla critica. C’è Jeff Bridges, come si può dimenticare?
Si presenta tutto muscoli e gigantismo, un allenamento alla già annunciata battaglia con Godzilla, il bello e noioso di Gareth Edwards (2014). Sviluppa però una visione dei nuovi Mostri giganti con maggiore precisione: ammiriamo la grandezza assoluta e la sua forza come un dio contro cui noi uomini possiamo poco, solo sottostare alle loro azioni.
Vogliamo i mostri
La caduta della modernità e il potere dell’industria accompagnavano Carl Denham e Jack Driscoll nel 1933, una spinta ambientalista accusava l’avidità umana nel 1976, oggi Kong è il parallelo dell’Arte per l’Arte, il Mostro per il Mostro, la presa di coscienza delle superpotenze globali (ambientato difatti nella Guerra Fredda). Contano le dimensioni.
La spedizione verso l’Isola del Teschio, coprotagonista insieme a King Kong come ci suggerisce già il titolo, nasce con l’intenzione dell’agenzia segreta Monarch di scovare proprio i mostri giganti, comprenderne la natura e organizzare l’umanità per sconfiggere la presunta minaccia che arriva dalle immense cavità nascoste sotto i nostri piedi.
Cacciatori di giganti
Rappresentante è Bill Randa/John Goodman, ricercatore con gli occhi di chi ha visto un futuro apocalittico, a capo di un team di scienziati, accompagnato da un plotone di elicotteristi appena liberati dal Vietnam con al comando il col. Packard/Samuel L. Jackson, dall’ex-SAS Conrad/Tom Hiddleston e dalla fotoreporter Weaver/Brie Larson.
Spettatori stavolta risparmiati dalla delusione Binoche/Cranston del Godzilla di Edwards, Jackson incarna l’Achab di Melville che tutti vedemmo in Cranston, lui e Goodman sono follia pura mentre, purtroppo, Hiddleston e Larson timbrano il cartellino solo per attirare pubblico in sala. Contano meno di niente, sicuro meno di John C. Reilly.
L’unico grande Re
Godzilla divise il pubblico: poco Gojira fu l’accusa, anche la nostra. Kong: Skull Island copre la ferita, rimedia all’errore e fiocina le sale con una sequela di scene d’azione da manuale, indimenticabile la distruzione degli elicotteri, le lotte con gli Skull Crawlers, per quanto proprio l’ultima sembri la copia della battaglia tra Gipsy Danger e Otachi in Pacific Rim.
La veste grafica li rende accattivanti, col vocabolario del food porn da cui siamo travolti potremmo dire che Vogt-Roberts ha aggraziato la sua pietanza con un “impiattamento” interessante. Mai una volta ha mancato di mettere in risalto le proporzioni di tutto ciò che abita l’Isola del Teschio: gli uomini, come importanza e dimensioni, sono formiche. O neanche loro, giacché pare anch’esse sull’Isola siano enormi.
Shared Universe, parte ennesima
Lo sapevamo, la scena dopo i titoli di coda lo conferma, Kong: Skull Island e Godzilla sono parte di un universo condiviso e una volta tanto riusciamo a vederne le potenzialità. Chapeau a Blum per il lavoro su Split (il cui film però è da scartare in toto) ma Vogt-Roberts ha fatto di meglio, la sua è un’introduzione perfetta al futuro franchise.
Ogni combattimento è un assaggio, ogni spiegone di Reilly e Goodman uno stuzzichino ideale per prepararsi alle gigantesche portate in arrivo. Quei graffiti in coda a tutto dunque ci lasciano con l’aquolina in bocca, meno la prospettiva di seguire i personaggi più noiosi di tutti, ovvero proprio i protagonisti Tom Hiddleston e Brie Larson.