In guerra per amore di una terra maledetta.
Chi mi conosce sa che La mafia uccide solo d’estate di Pif mi è rimasto nel cuore. Lo stesso non si può dire del suo secondo film, questo In guerra per amore pluricandidato ai David di Donatello che parla – ancora una volta e anche se non sembra – di mafia.
Nasce proprio da qui la necessità di effettuare un paragone che sulla carta – e non solo – sarebbe sbagliato. Eppure è indubbio che i due lavori di Pierfrancesco Diliberto hanno più di una cosa in comune. A cominciare dalla struttura, sostenuta dalla voce narrante del regista/interprete, fino alla leggerezza che la permea.
Come la sua gemella, In guerra per amore è una commedia dolce in superficie e amarissima sul fondo. Che racconta la Sicilia, i suoi lati oscuri, con l’intento di inviare un messaggio di denuncia e farlo sentire forte e chiaro.
Ma ci riesce?
Anche il protagonista non cambia: si chiama Arturo Giammaresi, ha il volto di Pif, è siciliano e ama una donna di nome Flora (quasi) più delle sue origini. Al punto che si arruola nell’esercito per poter tornare in Italia e chiedere ufficialmente la sua mano, salvandola così da un terribile matrimonio combinato.
Spiegare la storia ai bambini sembra essere la missione di Diliberto e del suo modo di fare cinema, tanto nei panni di narratore quanto in quelli di maldestro e marcovaldiano individuo al centro degli eventi. Perciò i toni usati sono lievi, a tratti comici, mentre la messinscena parte dall’essere semplice e didascalica per arrivare a un assetto che nel caso di In guerra per amore sa un po’ troppo di recita scolastica.
La veste posticcia dell’ultimo film di Pif – dal trucco al parrucco passando per la fastidiosa e non sempre ben motivata commistione di italiano e inglese americano – è un difetto troppo chiaro per non essere notato, una di quelle crepe che finiscono inevitabilmente con l’aprirsi e mandare tutto in rovina. Un vero peccato per l’operazione comunque lodevole compiuta da Pif allo scopo di immortalare le parti inedite – o meno note – della storia della liberazione d’Italia.
La storia siamo noi
Come se il passato meno recente di In guerra per amore lo avesse coinvolto e condizionato più di quello sullo sfondo de La mafia uccide solo d’estate, il Diliberto due volte regista fallisce là dove prima era riuscito: a evitare la retorica.
Nonostante il suo stile, l’inconfondibile tenerezza, la purezza delle intenzioni e un paio di belle trovate (su tutte la statua del duce appesa a testa in giù fra i panni stesi); nonostante lo sferzante ritratto caricaturale del mafioso di paese commentato in crescendo da Santi Pulvirenti (o forse proprio per quello) In guerra per amore perde in coerenza e guadagna in scalpore.
E tuttavia se lo faceste vedere ai vostri alunni non sarebbe un male. Affatto.
Francesca Fichera
Voto: 2.5/5
a me è molto piaciuto (si poteva mandare questo alla lotteria degli Oscar; mi sa che entrava almeno nella cinquina)
effettivamente è didascalico, ma non manca di stile
se volessi definirlo (ma noto che nessuno mi chiede di farlo) userei il termine GROTTESCO, tipo il capolavoro kubrickiano DOTTOR STRANAMORE, dove si ride di cose orribili (là era la guerra nucleare, qui la mafia)
"Mi piace""Mi piace"
Non credo che gli americani avrebbero gradito visto il modo in cui li si dipinge (al contrario che nei ben più piacioni film di Benigni). Ecco, questo coraggio a Pif bisogna riconoscerlo e resta apprezzabile al di là dei comunque determinanti (almeno per me) difetti del film.
Tu citi un grandissimo film, uno dei miei preferiti di Kubrick. Però non ho trovato una simile vis comica all’interno di questo lavoro. Anzi, è proprio la perdita di leggerezza sul finale che stona col resto, apprezzabilissimo soprattutto per quel che riguarda la coppia del cieco col suo amico.
"Mi piace""Mi piace"