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Elle (Paul Verhoeven, 2016)

Vendetta e passione si intrecciano in Elle, l’atteso ritorno di Paul Verhoeven.

Paul Verhoeven è uno di quei registi la cui influenza si sente nelle viscere, il suo cinema dalla Danimarca agli Stati Uniti ha segnato, lo si voglia ammettere o meno, una generazione. Lo vediamo con gli Studios a caccia di remake dai suoi classici (RoboCop, Total Recall e presto Starship Troopers) e oggi con Elle.

Hollywood non ha mai smesso di amarlo in questi 16 anni di separazione, gli ha rubato Carice Van Houten, la star del suo war movie danese, Black Book, ha fatto girare l’esperimento Tricked e ora applaude il suo atteso ritorno, Elle, un film francese destinato a una lunga stagione di campagna pubblicitaria per gli Oscar.

Adattamento del romanzo Oh di Philippe Djian, Elle è un film decisamente più nelle corde della mente contorta di Verhoeven, ingarbugliata in relazioni inappropriate e osservazioni feroci sulle convenzioni sociali, in guerra contro la repressione, la violenza verbale e il rapporto tra verità e menzogna.

Il male è maschio

Isabelle Huppert, già si vocifera una sua corsa all’Oscar, è la CEO di una compagnia di videogiochi, aggredita e stuprata nella sua casa da uno sconosciuto. La sua reazione è silente, ma forte: ripulisce sé stessa, la casa, non si rivolge alla polizia, non chiede aiuto ai suoi amici. Continua la sua normale esistenza con fermezza.

Il violentatore tuttavia sembra non aver concluso e si insinua nella vita di lei, ora decisa a rintracciarlo e sempre più distante dal lato maschile delle sue relazioni: l’ex marito (Charles Berling) il figlio (Jonas Bloquet) l’amante e marito della sua partner (Christian Berkel) il vicino di casa (Laurent Lafitte).

Nessuno degli uomini è in qualche modo una figura positiva, al meglio sono dei bambinoni da proteggere, altri pericoli da cui fuggire (il padre, celebre assassino, in carcere da 30 anni), le donne invece possono essere recipienti di pietà, mai di disgusto, mai vero disprezzo come lo sono invece i sottoposti della protagonista.

Un minestrone di generi

Elle non è un film femminista, non è un rape and revenge né un thriller, per quanto Verhoeven cerchi di ingannare lo spettatore a credere lo sia, portando la Huppert tra asce, calibro .44 e piccole indagini. Elle è l’espressione della stima di Verhoeven verso le donne, un elogio alla loro capacità di sopravvivenza.

In fin dei conti da Verhoeven non ci si può aspettare alcunché di tradizionale, se non nei suoi momenti di minor potere contrattuale a Hollywood, ed Elle è quanto di più lontano si possa immaginare dal convenzionale. Per fortuna correndo via dalla normalità non incrocia l’esagerazione e l’odierna contraddizione dell'”anticonformismo conformista”.

La caduta sul finale

È proprio questo a convincere, la fuga di Verhoeven dagli schemi prestabiliti del genere. Peccato caschi proprio sul finale, inciampi nella sua corsa in una conclusione frettolosa a cui siamo fin troppo abituati, riconciliante anche laddove non era affatto necessario, spesso senza alcuna spiegazione valida.

Una manciata di minuti sufficiente a rovinare il risultato complessivo di Elle, a cui manca un finale degno del suo ben scolpito sviluppo, di voli pindarici da un genere all’altro: dramma, commedia, thriller, erotico, Elle non trova pace finché non casca con la testa per terra, cancellando il fior fiore del lavoro di Verhoeven.

Resta un film di ottima fattura, Elle è un assai gradito ritorno e già Tricked ci diede un assaggio di quanto ci stavamo perdendo, e per che cosa? Per la mania di crocifiggere i flop che affligge gli USA. Distrussero Cimino, hanno danneggiato Verhoeven. Come se Showgirls bastasse a inficiare una carriera di successi.

Speriamo ora non ci sia più da attendere così tanto, che la stagione di rivalutazione di Verhoeven porti il regista danese di 77 anni a tornare dietro la macchina da presa, possibilmente coi suoi progetti più controversi. È un Verhoeven che sogniamo da anni di vedere al cinema. Per ora Elle è un ottimo inizio.

Fausto Vernazzani

Voto: 3.5/5

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