My Life Directed by Nicolas Winding Refn, radiografia ad opera della moglie Liv Corfixen – di Victor Musetti.
Liv Corfixen, moglie di Nicolas Winding Refn, è costretta nel 2011 a trasferirsi per sei mesi a Bangkok insieme ai figli per seguire la folle impresa del marito: la produzione del discusso e controverso Solo Dio Perdona. Così, telecamera alla mano, tra un cambio di pannolino e l’altro inizia a filmare i pezzetti di vita familiare e i momenti di lavoro di Refn che andranno a comporre il suo documentario My Life Directed by Nicolas Winding Refn.
Film a metà strada tra il dietro le quinte di Solo Dio Perdona e la cronaca di un matrimonio sull’orlo del disfacimento, il lavoro di Liv Corfixen si prende un rischio grandissimo nel pretendere di pubblico interesse una faccenda estremamente personale, ovvero il suo rapporto con il marito. Il film infatti vuole analizzare come la sua vita si svolga sostanzialmente nell’ombra del lavoro di Refn. Costretta a rinunciare alla propria carriera professionale, la Corfixen ci mostra come il suo amore per lui l’abbia portata sostanzialmente a rinunciare ad avere una vita e una carriera propria.
Di Refn vediamo il meglio e il peggio. Dai momenti di insicurezza più assoluta, manifestati sempre in privato, in cui esprime il suo terrore di fronte alla possibilità di fare un fiasco e di non fare un film abbastanza incisivo, unico e mai visto prima, ai momenti invece più felici, in cui sul set è obbligato a mostrarsi sempre sicuro di sé e da’, in effetti, l’impressione di un regista estremamente bravo nel proprio mestiere, capace di risolvere con calma e decisione qualsiasi tipo di problema.
Da questo punto di vista sarebbe stato forse più soddisfacente vedere qualcosa di più del lato oscuro di Refn, oltre al suo stress e alle sue insicurezze. Viene da chiedersi se non ci siano stati problemi più importanti sul set che siano stati volutamente omessi dal montaggio. Non a caso il film esce in una confezione decisamente importante: prodotto dalla stessa Space Rocket Nation di Refn e montato ad arte (addirittura la colonna sonora originale è firmata da Cliff Martinez) per creare sensazione sul fenomeno del regista danese. Ma è forse quest’aspetto esageratamente auto promozionale ad essere il limite più grande del film.
Infatti sono proprio i momenti più normali ad essere i più interessanti, quelli che ci mostrano il Refn uomo che gioca e scherza con la moglie e i figli. Ma anche alcuni momenti del suo lavoro che sono assolutamente spontanei, ad esempio la sua reazione nel sentire una musica per la prima volta che poi finirà nel film definitivo, o i momenti in cui Ryan Gosling gioca con i suoi bambini. Da segnalare poi sicuramente la presenza di Jodorowsky in due scene fondamentali del film, forse i due momenti più interessanti in assoluto.
Il lavoro di Liv Corfixen suona spesso come un grido d’aiuto, come un tentativo disperato di uscire dall’ombra e di guardarsi allo specchio. E il solo fatto di farlo ha avuto senz’altro una funzione terapeutica per lei e per la coppia. Ma il risultato in sé è comunque un documento indispensabile per la comprensione della figura umana che si cela dietro a capolavori come la trilogia di Pusher. Ed è, al di là di tutto, uno sguardo decisamente inedito e interno su un certo cinema d’autore di oggi. Sicuramente si tratta di un imperdibile complemento alla visione di Solo Dio Perdona, ma come film a sé stante l’interesse per uno spettatore occasionale è probabilmente molto relativo.