Ballad in Blood - CineFatti

Ballad in Blood (Ruggero Deodato, 2016)

Ballad in Blood: il grande ritorno al cinema di Mr. Cannibal Ruggero Deodato

Come porsi di fronte al nuovo film di Ruggero Deodato, Ballad in Blood, dopo 23 anni dalla sua ultima uscita per il cinema?

La prima cosa a cui pensare è che il suo mito si è creato proprio negli anni di inattività, anni in cui è cresciuto a dismisura il culto della serie B italiana grazie, come ben sappiamo, all’enorme pubblicità fatta da Tarantino e, successivamente, da Eli Roth, che prima di fare un remake di Cannibal Holocaust aveva inserito lo stesso Deodato in un cameo nel suo Hostel 2.

Prima di tutto questo però, Deodato, come molti altri della sua generazione che fecero il vero cinema di genere italiano, non era mai stato considerato come un grande regista e, in larghissima parte, anche a ragione.

Ripartire dal caso Meredith

Detto questo, resta interessante vedere la capacità di un autore del passato di reinventarsi oggi che il cinema in Italia è cambiato così radicalmente e che il genere è quasi del tutto scomparso. In questo senso bisogna dire che Deodato ha avuto un’idea brillante, poiché ha costruito il suo Ballad in Blood ispirandosi in modo per niente velato a uno dei casi di cronaca nera più conosciuti degli ultimi dieci anni, quello dell’omicidio di Meredith Kercher.

Protagonisti sono infatti tre ragazzi, due americani e un italiano, che, il mattino dopo una festa più spinta delle altre, trovano morta la loro coinquilina. Il problema? Non si ricordano niente di ciò che sia successo a causa delle droghe che hanno preso.

Non si tratta di cannibali o di zombie ma, al contrario, di una storia attualissima e figlia del nostro tempo.

Di necessità virtù

C’è quindi una caratteristica fondamentale che rende questo nuovo lavoro di Deodato più al passo coi tempi di quanto Argento sia mai riuscito a fare in vent’anni di tentativi buttati per aria: quella della necessità.

E la necessità che ha avuto di fare questo film Deodato la dimostra nel fatto di conoscere benissimo il mondo di cui parla, quello delle case studentesche e dell’utilizzo degli smartphone, seppur questi elementi siano messi in scena in forma esagerata.

Anche qui non ci si risparmia sulla critica all’uso che facciamo delle nostre immagini, seppur si tratti di un attacco meno aggressivo che in passato; ma sono tematiche a lui care da sempre.

Dunque Ballad in Blood è un grande film?

No, neanche lontanamente, anche se forse avrebbe potuto diventarlo. C’era un ottimo soggetto, la mano di un mestierante che nel bene o nel male sa il fatto suo e due attrici protagoniste decisamente all’altezza, specialmente la protagonista Carlotta Morelli che, dovendo recitare due terzi del film seminuda, si è trovata ad affrontare una prova fisica per niente scontata.

È dal punto di vista visivo però che il film crolla inesorabilmente, con una fotografia a tratti più vicina alle fiction televisive della Rai che agli standard qualitativi cui ci ha abituato il cinema indipendente di oggi.

C’è poi un dettaglio fondamentale, che purtroppo sega le gambe totalmente alla sospensione d’incredulità del racconto: la scelta della lingua inglese. Tutti i personaggi infatti, anche quelli che nel film dovrebbero essere italiani, parlano in inglese. Inutile dire che l’accento di alcuni attori italiani sia a volte veramente irritante.

Una vecchia idea di cinema

Se un dettaglio del genere negli anni Ottanta sarebbe passato in secondo piano (era pratica comune quella di girare i film prima per la distribuzione estera per poi ridoppiarli in italiano in un secondo momento) oggi non è più minimamente accettabile ed è forse l’aspetto di Ballad in Blood che più di tutti fa capire di trovarsi di fronte ad un autore intrappolato in un’idea di cinema che non può più funzionare in nessun modo, se non giusto per qualche nostalgico.

Il fatto è che Ballad in Blood è girato in tutto e per tutto come una pellicola degli anni Ottanta. Ma se con un buon produttore alle spalle avrebbe potuto rappresentare punto di forza (vedi Mastandrea con Caligari) qui purtroppo si ha spesso l’impressione di vedere tantissimo talento sprecato da una confezione scadente.

Sono tante infatti le idee valide, a partire dall’utilizzo del Pozzo di San Patrizio, luogo incredibile in cui si svolge la parte visivamente più interessante di tutte, fino alle numerose scene di Carlotta Morelli, tra cui una danza finale che non potrà non strappare qualche sorriso agli appassionati più sentiti.

Insomma, è il caso di vedere Ballad in Blood se siete amanti dell’horror italiano e volete trascorrere un paio d’ore a cervello spento, il film ha il grande pregio di non annoiare mai. Se però vi aspettate da Deodato un cinema di alto livello lasciate perdere in partenza.

Victor Musetti
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