L’orrore di Grizzly Man si trasforma in bellezza.
Timothy Treadwell era l’uomo degli orsi: Grizzly Man. Per tredici estati consecutive si insediò nella riserva nazionale di Katmai, in Alaska, per convivere coi Grizzly e – a suo dire – proteggerli.
Allo scadere della tredicesima estate, il 5 ottobre del 2003, fu mangiato vivo da uno di loro. Due anni più tardi Discovery Channel scelse Werner Herzog per raccontare la sua storia in un documentario.
In volo sul reale
Il regista di Encounters at the End of the World realizza una vera e propria opera di cucito, epocale nella sua portata. Un ritratto costituito per buona parte dal found footage che lo stesso Treadwell produsse a partire dal 2000 fino a poche ore prima della sua morte, ma sul cui compimento Herzog plana come un elicottero di vedetta fra le montagne dell’Alaska, attaccando uno ad uno, con gelida pazienza, i pezzi della sua particolare visione delle cose.
“I believe the common denominator of the Universe is not harmony, but chaos, hostility and murder” dice Herzog. Una sentenza, quella che lui definirebbe “verità statica”, forma emersa dalla scultura cinematografica che diventa innegabile quando la telecamera di Treadwell zooma sugli occhi uno dei tanti, enormi orsi del Parco; dolci e fieri per lui, vacui e affamati per Werner.
Quando Treadwell stesso, che credeva in un’idea di natura umanizzata e perciò sganciata dalla realtà, mostrando i corpi morti delle volpi e i resti degli orsetti sbranati dai propri genitori fa sì che di un mondo animale placido e colmo di tenerezza non resti altro che l’inconsistenza del mito.
La scienza di Herzog
Grizzly Man raccoglie con precisione scientifica le testimonianze di tutte le persone coinvolte nel dramma dell’esploratore, dagli amici all’ex compagna passando per il coroner e i ranger cui fu affidato quel che rimaneva di Tim e della sua fidanzata – come ci si tiene più volte a precisare, non senza dovizia di particolari.
È un film che, alla stessa maniera con cui sottolinea la qualità intimamente violenta del mondo, giudica anche chi si ostina a negarla. Ne espone l’esaltazione e dice (o fa dire): “Ecco, non poteva che finire così”.
Stupor mundi
Eppure c’è tanta morte quanta vita in quest’opera assoluta di Herzog che, come Into the Abyss, prova a rappresentare il vuoto guardandolo dal lato pieno. E tale, ennesimo tentativo di mettere in scena l’inenarrabile, fra carrelli, zoom e riprese dall’alto, sa contenere più calore di quanto si pensi.
In un angolo conserva, producendone a propria volta, ammirazione e stupore; per le immagini e per colui che le ha create. Un uomo che è vissuto e morto sul filo dello stesso, eccezionale principio, pagandone l’altissimo prezzo, e che così si è fatto storia: una vecchia ballata, un racconto triste come un tramonto cui dare la schiena. E un film eterno.
Francesca Fichera
Voto: 5/5
Herzog documentarista è sublime nelle sue visioni delle più disparate realtà,molto meglio che nella fiction delle ultime stagioni,cosa d’altronde altrettanto vera per il Wenders recente.
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Assolutamente! Per quanto riguarda Wenders (che adoro) ho ancora da recuperare Il sale della terra e Ritorno alla vita – intorno a quest’ultimo devo ammettere che le critiche mi hanno un po’ scoraggiata – ma sto ancora assaporando la grandezza di Pina :)
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Ti posso assicurare che Il sale della terra è un capolavoro,mentre l’altro non l’ho visto però temo rispecchi quello che ho scritto nel post precedente sulla scarsità dei film di fiction dei due grandi autori.
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Spero di sbrigarmi a ripescare il primo allora! Sul secondo però resta tanta curiosità, a prescindere (ricordo che anche Million Dollar Hotel fu denigrato, eppure a me piacque tanto.. e forse sono anche una delle poche fan!)
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Anche a me la bravura di Wim,che in certi casi di suoi film Baumaniani definisco Wim liquido (ha ha ha,sono scemo),mi piace anche in casi indifendibili. Million dollar hotel a me piacque.
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