Kingsman, una nuova action comedy dai fumetti di Mark Millar brilla nel cinema britannico.
Finché 007 esisterà non sarà mai fuori luogo uscire nei cinema con una spy story mirata a prendersi gioco di James Bond. Dalla Cina (From Beijing with Love) alla Francia (OSS 117: Le Caire, nid d’espions) ogni nazione ha cercato di imitare il fenomeno e, se possibile, metterlo alla berlina portandolo il più vicino al suolo possibile. Non stupisce però che uno dei migliori risultati arrivi proprio dalla terra natia di Bond, il Regno Unito, adattato dal fumetto di Mark Millar (Kick-Ass) per la regia di Matthew Vaughn (Kick-Ass anche lui) con humour ed eleganza inglese pura al 100%.
Kingsman: The Secret Service è l’agenzia protagonista: un super-segreto gruppo di agenti speciali opera in tutto il mondo sopra ogni autorità governativa per mantenere l’ordine.
A tal scopo non rinunciano allo charme del gentleman e chi meglio di Colin Firth poteva interpretare uno degli impiegati di punta della mini-intelligence delle dimensioni di una tavola rotonda, da cui prendono spunto per usare come nomi in codice le leggende dei suoi cavalieri: Artù è al comando (Michael Caine), Merlino si occupa dell’aspetto tecnico (Mark Strong), Galahad è il puro (Firth), gli altri sono poco più che comparse a cui è difficile attribuire alcun ricordo.
Lancillotto è venuto meno, sconfitto durante una missione: salvare il professor James Arnold (Mark Hamill), rapito dal miliardario Valentine (Samuel L. Jackson), proprietario di un impero tecnologico tale da metterlo alla pari con i potenti del mondo, per portare a termine il classico piano malvagio atto a ridurre l’umanità in brandelli. Il plot si divide all’istante in due: la ricerca di un sostituto per Lancillotto e il tentativo di sventare le malefatte di Valentine. Così entra in scena il giovane protagonista, Taron Egerton/Eggsy, rappresentante della classe operaia tra i figli di papà, il working class hero dalle origini umili col cuore più grande del più ricco degli aristocratici.
La trama essenzialmente non differisce da film simili, anche se una delle gag ricorrenti è la volontà di allontanarsi dai cliché, a sua volta diventato un cliché. Kingsman svetta con la grafica, il sangue copioso, gli arti mozzati e i dialoghi rapidi e concisi, una serie di battute lampo (di cui una in particolare lascia sorpresi per un paio di secondi) ben incise in scene coreografate al dettaglio.
Firth stupisce come uomo d’azione, i suoi balletti armato di ombrello e pistola sono entusiasmanti, mai brevi e sempre lunghi a sufficienza, una gioia per gli occhi come lo è un ben assestato assolo di chitarra per le orecchie (Free Bird dei Lynyrd Skynyrd riceve il giusto omaggio), idem Taron Egerton e la gazzella Sophia Boutelle. Ma la sorpresa più bella è avere Mark Strong dalla parte dei buoni, almeno una volta nella sua prolifica carriera di villain su entrambi i lati dell’Atlantico.
Matthew Vaughn, sceso dall’Olimpo Marvel posseduto dalla Fox per dirigere Kingsman al posto di X-Men: Giorni di un futuro passato dopo il suo precedente successo con X-Men: L’inizio, è la vera star del team. Insiste con quadri fotografici (George Richmond, operatore di fama promosso a direttore della fotografia per il cinema) con scenografie curate con una simmetria piacevole allo sguardo. Con la stessa insistenza calca la mano nelle scene d’azione, senza mai girare la macchina da presa né eccedere con stacchi di montaggio confusionari: ogni pugno raggiunge il suo obbiettivo e ogni folle cristiano è impalato nella sua chiesa senza che una goccia di sangue finisca al di fuori dell’inquadratura.
Ci vuole coraggio per girare una carneficina così violenta in un edificio ecclesiastico e Vaughn a quanto pare ne ha da vendere.