Se chiedete alla polvere di The Rover, non aspettatevi grandi risposte
Potrebbe essere stata una crisi finanziaria o energetica, scaturita da una guerra di qualche tipo, o chissà quale altro fattore scatenante. Il grande crollo è passato da dieci anni quando The Rover, attesa opera seconda del regista David Michôd seguita allo stupefacente Animal Kingdom, ci catapulta in un futuro imprecisato in cui è evidente un drastico calo demografico nella già deserta Australia.
La polvere ricopre i corpi delle persone, distese sulle loro sedie a malapena a respirare, senza rivolgersi la parola senza un fucile imbracciato pronto a far fuori l’inatteso interlocutore di turno.
La verità è nel corpo
Guy Pearce riesce a trasmettere l’idea di fondo già con la sua sola fisicità; un’idea scritta da Michôd in collaborazione con Joel Edgerton, non presente in qualità di attore.
In qualche modo non si sa se Pearce è un personaggio positivo: ha un occhio semi-chiuso, cammina zoppicando e con una spalla che ormai sembra destinata a trasformarsi in un’orrenda gobba, ma al contrario di chiunque altro ha ancora un motivo per cui vivere: la sua macchina. Un auto derubata da Scoot McNairy e la sua banda.
Alla ricerca dei sentimenti
Inizia la caccia all’uomo: Michôd offre al suo protagonista una chance di essere umano e reagire, non importa con quale emozione, purché ci sia un moto, un sentimento a mettere in azione il suo corpo.
Fortuna vuole che McNairy sulla strada aveva lasciato indietro ferito il suo fratello minore, Robert Pattinson, un giovane ritardato in cui sopravvive una gamma di sentimenti spariti dal resto dei personaggi di The Rover, accompagnati da un governo fantasma con sede in un luogo sconosciuto e con zero interesse a riaprire un qualsivoglia discorso sul welfare.
L’intoppo di The Rover
Il film di Michôd si ferma tuttavia all’atmosfera: una volta chiarita l’ambientazione e il campo d’azione dei personaggi non si va da nessuna parte.
The Rover procede piatto, incapace di tenere gli occhi dello spettatore incollati al grande schermo, e non basta una stupenda fotografia (Natasha Braier) o una gigantesca prova d’attore – l’ennesima se ci è concesso dirlo – per Pearce.
Il contorno non funziona, e non è il background narrativo a mancare: è una regia trainante a essere assente, calatasi troppo nella parte di uno degli elementi secondari, un mero oggetto di scena a cui avrebbero dovuto conferire un ruolo maggiore.
Una nuova speranza?
Il potenziale c’era, l’Australia è il luogo perfetto per creare uno scenario di desolazione, ormai lo sappiamo benissimo (basta ricordarci di Mad Max, con cui tuttavia The Rover non può essere paragonato in alcun modo, o anche dello spietato capolavoro di Ted Kotcheff, Wake in Fright).
Michôd sfortunatamente non aggiunge la sua seconda meteora alla lista dei classici contemporanei del cinema australiano; vi rimarrà col suo brillante esordio e chissà, la sua filmografia futura potrebbe riparare a questo inciampo preso sul cammino.
È chiaro che una visione non gli manca, è la mano ferma e decisa del regista maturo a esser forse ancora lontana. Potrebbe essere una buona idea per lui ritornare su The Rover in un futuro prossimo o remoto, sempre che il collasso non ci prenda tutti per davvero.
Fausto Vernazzani
Voto: 3/5
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