Venezia71: Pasolini (Abel Ferrara, 2014)

Destrutturare l’icona Pasolini: un’impresa di Abel Ferrara.

Cosa farebbe e cosa sosterrebbe al giorno d’oggi Pier Paolo Pasolini? Cosa è rimasto di lui nella società? È più importante l’uomo o il personaggio che ha rappresentato?

Abel Ferrara si confronta con una delle figure culturalmente più discusse e importanti del ‘900 e da un regista come lui non poteva che venire un film contraddittorio.

Contro il logorio di un certo cinema 

Ferrara decide di passare oltre ogni provocazione palese e rivelata nella narrazione agendo su un livello più alto, sulla struttura stessa del film: Pasolini è chiaramente un anti-biopic moderno, che paradossalmente cerca di dare dignità al grande intellettuale provocatore con un lavoro che è tutt’altro che celebrativo.

La figura di Pasolini è destrutturata e ridistribuita su vari livelli, come se avesse sparso lungo il film diversi aspetti non dell’uomo ma dell’icona che egli è.

Ci dà in pasto alcuni frammenti di immagini di un Pasolini idealizzato, che gioca a calcio o che scherza con gli amici, con un’impostazione patetica e ruffiana che rappresenta probabilmente ciò che il pubblico, il classico biopic e il rispetto moralista del personaggio esigerebbero, ma che Ferrara distribuisce con modalità arbitraria e chiaramente artificiosa, così da negare e disprezzare quest’idea comoda di cinema.

L’ultimo provocatore

L’idea di Ferrara è di riportare gli stessi codici rappresentativi di Pasolini in un film su Pasolini medesimo: un progetto completamente folle, ma anche assai intrigante. Emblematica di questo assurdo progetto è la sequenza nella città di Sodoma, dove ci sono solo gay e lesbiche che per una notte all’anno si accoppiano con l’altro sesso, in un tripudio di ritualità bacchica e fuochi artificiali: in questo modo il film ripropone gli stessi concetti del Salò di Pasolini, quelli cioè di un potere che ha accolto, incanalato e poi sfruttato e distorto la rivoluzione sessuale.

Ecco, in un’elaborazione intricata e autoreferenziale Ferrara prefigura una spettacolarizzazione e strumentalizzazione dello stesso Salò ai giorni nostri, ripetendo così la critica politico-sociale di Pasolini basandosi su una pellicola dello stesso.

Così, nonostante la complessità del processo, nomina PPP come uno degli ultimi provocatori veri, che ora ha perso forza proprio perché è stato rivalutato dalla cultura borghese.

La provocazione sul provocatore

Tutto si può dire di Ferrara, ma non che si sia adagiato. Il suo ritratto di Pasolini è (per quanto possa suonare macabro vedendo il film) giocoso, come se ammiccasse a Pier Paolo stesso dicendogli: Oggi tutti ti hanno incluso ufficialmente nel novero dei grandi pensatori, sperano di potersi adagiare su questa convinzione e tralasciare pian piano la tua forza politica e artistica… E invece no, il mio biopic sarà sgradevole e nuovamente provocatorio, questa è la tua anima e voglio rispettarla.

Pasolini è un paradosso, un film archetipico e spesso illogico, che scherza col suo pubblico e lo prende in giro con la complicità ideale del suo stesso protagonista.

A questo punto, pur elogiando il coraggio e l’acume geniale di Ferrara, non si può sottolineare un aspetto importante: la provocazione di Pasolini non ripiegava su sé stessa, era costruttiva e non arrogante, cosa che è invece, almeno in parte, lo strano biopic del regista statunitense.

Ci sarebbe poi da chiedere a Pasolini, ovunque sia, se sarebbe effettivamente d’accordo e complice di Ferrara, elemento da non sottovalutare. Ma Ferrara, si sa, è così: un po’ se ne frega.

Discutibile fa rima con imperdibile

C’è poi ovviamente una questione etica: è giusto spingersi così oltre la realtà, sfociando nel gioco all’assurdo e nel film a tesi, utilizzando la figura di PPP? Forse il vecchio Abel scherza pure su questo, sulla strumentalizzazione che fa lui del suo soggetto, dimostrando quanto l’arbitrarietà della cultura possa imporre un codice cinematografico e iconografico a cui non ci si può affidare superficialmente,e rischiare di cadere nei tranelli dell’audiovisivo.

Inutile soffermarsi su attori (il grande Willem Dafoe, lo ricordiamo, è protagonista) sceneggiatura e comparto tecnico: Ferrara domina il film e muove le marionette con divertito estro e compiaciuta sgradevolezza. Per quanto discutibile (ma non è il suo bello?) nessun cinefilo può perdersi questo capitolo del suo cinema.

Arturo Caciotti