Ari Folman passa al metacinema col semi-animato Il congresso.
La realtà si fonde col sogno alla perfezione se i due si incontrano a metà strada nella mente e nella memoria di una persona. Ari Folman diresse un omaggio animato al massacro di Sabra e Shatila più duro di qualsiasi film in live action immaginabile.
Sogni sintetici di Lem
Valzer con Bashir, a metà tra documentario e onirico, ha ora un fratello nella filmografia del regista israeliano, e la scelta di passare alla fantascienza ci ha reso felici in molti. Presentato a Cannes nel 2013, Il congresso è ispirato dal romanzo Il congresso di futurologia dello scrittore polacco Stanislaw Lem, famoso nel mondo del cinema per essere l’autore di una splendida opera da cui nacque quello che è forse il miglior film di science fiction della storia: Solaris di Andrej Tarkovskij.
I due film, ma soprattutto i libri, hanno un aspetto in comune, entrambi si rivolgono alle possibilità di un universo contaminato dalle proprie aspirazioni mentali: Solaris è organico, raggiunge l’obiettivo attraverso il primo contatto con una creatura aliena manipolatrice di dimensioni planetarie, Il congresso è, invece, sintetico, abbracciando il suo destino con i prodici psicotropi della chimica.
Rinascere in pixel
Trasporre Il congresso al cinema per Folman si è tradotto nella ricerca di un testimone interessato, un Cicerone spezzato in un futuro imprecisato. Robin Wright è questa persona, attrice in picchiata all’epoca, (i premi di House of Cards dovevano ancora arrivare), ma amata da chi la ricorda nei suoi successi giovanili, quando gli occhi azzurri e i capelli biondi incantavano Forrest Gump e i suoi spettatori.
Dinanzi al cammino di Robin si palesa così un’unica scelta, cedere alle richieste dell’agente e digitalizzare la propria immagine per evitare l’oblio e vivere eternamente in gioventù sullo schermo, invecchiare nella realtà e campare di rendita col pagamento offertole dalla Miramount di Jeff Green/Danny Huston.
Il cinema diventa animazione computerizzata anno dopo anno e la famiglia arriverà a essere l’unico interesse per Robin, madre single di due figli (il vero risultato della separazione da Sean Penn), di cui il più piccolo, Aaron/Kodi Smit-McPhee, soffre di una malattia degenerativa sempre più grave.
I sogni sono morti, lunga vita ai sogni!
Il congresso inizia con un lungo preambolo in live action che mostra poco e chiacchiera troppo, primi piani sugli attori (Harvey Keitel e Paul Giamatti sono ottimi comprimari) e lunghe carrellate prive di pathos.
Tutto cambia quando arriva il momento del congresso di futurologia all’hotel di lusso di Green, vent’anni dopo, con Robin invitata in qualità di simbolo di un progresso votato alla distrazione con sostanze chimiche sintetizzate nei laboratori Miramount che permettono alle persone di vivere in un mondo animato.
Niente a che fare con Cartoonia, il mondo de Il congresso è un mondo colorato, ma che nasconde dietro di sé un cupo e grigio futuro dove l’uomo ha deciso di smettere di decidere. Dimentichi dei problemi globali, dei propri bisogni, le persone vivono sognando di essere chi vogliono loro, attendono di morire privati dei loro sogni perché un sogno intangibile è ciò che sono diventati.
Ari Folman parla dunque di un altro massacro, di natura ideologica. Parla dei media che distraggono l’umanità dagli orrori della guerra, della malattia, della depressione, ma il merito è solo ed esclusivamente della sceneggiatura. La regia non soddisfa neanche in minima parte questo substrato filosofico, procede piatta verso la fine, due ore dopo dall’inizio, e una volta concluso il percorso non resta nulla se non unottima interpretazione di una resuscitata Robin Wright.
Fausto Vernazzani
Voto: 3/5
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