La visione surrealista di un reportage tragico ed emozionante
Raúl de la Fuente in un’intervista al festival di Annecy due anni fa sostenne di non essere stato influenzato da altri film per Ancora un giorno e in effetti né a lui né al co-regista Damian Nenow mi sento di dare torto. Guardando questo piccolo capolavoro lungo meno di 80 minuti sarete portati senz’altro al ricordo di Ari Folman, ma con l’israeliano i tratti in comune sono più tecnici che di forma: Nenow e de la Fuente sono originali.
Valzer con Bashir fuse sogno e realtà così come Il congresso investì l’animazione col didascalico compito di rappresentare gli effetti delle psico-droghe inventate sulla carta da Stanisław Lem. Ancora un giorno è un ibrido dove molto di quei due film sembrerà essere in un certo senso copiato, ma il duo di registi dal diversissimo background a differenza di Folman hanno una storia ben diversa da raccontare, perché è cibo già digerito da altri.
Il cinema adatta in continuazione articoli dai quotidiani e reportage giornalistici, la sorgente Ryszard Kapuściński è lontanissima da quei mondi: il suo libro Ancora un giorno riportò fatti e soprattutto sensazioni raccolte dal giornalista polacco in quel primo di 27 anni di guerra civile in Angola, iniziata nel 1975 quando il mondo ancora si leccava le ferite della tremenda guerra in Vietnam. Kapuściński è un giornalista che partecipa alla storia.
Il surreale
Capirete dunque Nenow e de la Fuente hanno una sceneggiatura il cui intento è visualizzare una visione e non una sequela di fatti da romanticizzare come riuscì splendidamente ad Ari Folman nell’ormai lontano 2008. Ancora un giorno si prefissa lo scopo di mescolare i fatti, rappresentati da immagini d’archivio e interviste a personaggi chiave di quello straccio di storia, alle sensazioni di Kapuściński, dipinte come meravigliose immagini surrealiste.

Seguiamo la cronologia degli eventi, Kapuściński desidera lasciare la sicura capitale Luanda per scendere verso sud dove il fronte socialista della MPLA sta disperatamente difendendo il confine dalle truppe sud africane finanziate dalla CIA. Un esercito feroce, senza scrupoli, contrapposto a coraggiosi disperati ricchi di ideali e sogni “normali” come la combattente Carlotta, uccisa giovanissima prima ancora che potesse esaudire alcunché.
L’animazione proietta il passato e lo ricostruisce ancor più vero del live action, emerge l’impressione di avere sullo schermo la narrazione di Kapuściński così come l’avremmo immaginata leggendo le pagine di Ancora un giorno. È una magnifica rimediazione dove la confusão in cui affoga l’Angola si piega su sé stessa, si scontra senza alcuna possibilità di riallacciarsi oppure imprigiona Kapuściński in importanti dilemmi etici.
Ecco come una macchina da scrivere diventa un oggetto meccanico capace di imprigionare le dita di Kapuściński, oppure il volto di un morto si trasforma in quello dei tanti altri incontrati dal giornalista in miriadi di altri focolai in giro per il mondo. Una manciata di secondi ingurgita il dolore dell’uomo e lo risputa con la grazia dell’animazione, violenta perché vera, calda perché ancora frutto di una forma d’immaginazione positiva.
L’osservatore
Soggetto a simili visioni, quanto può la deontologia giornalistica continuare a guidarti mentre i tuoi occhi sono macchiati dall’ingiustizia dilagante? Osservare chilometri di cadaveri sparsi sulla strada dev’essere un’esperienza trasformativa: ogni centimetro di polvere scosso dagli pneumatici dell’auto andrà inevitabilmente a coprire l’anima dei testimoni di un devastante senso di impotenza. L’animazione non fa che acuirne la tragicità.

Immerso in un cinema deve essere stato meraviglioso, senz’altro duro quanto lo è guardandolo su uno dei vari VOD a nostra disposizione, col solo doppiaggio italiano che però devo ammettere è davvero ottimo. Francesco Prando dà la voce a Kapuściński e vi assicuro non vi farà mancare l’opzione lingua originale, per quanto fra i miei obiettivi vi sia il trovarlo e rivederlo com’era inteso dagli autori: perché tanto, fidatevi, vorrete rivederlo.
Fotografa la salvezza
È un compendio di bellezza e dolore, dalla conclusione amara così come fu nella realtà: vinse il cattivo e decenni di guerra civile non dettero alcuna chance a generazioni su generazioni. La guerra martoriò il terreno dell’Angola e il positivo sta “solo” nel messaggio suo, di Kapuściński: quei volti salvati dalla necrofila macchina fotografica possono essere raccontati, ricordati, motivo per aggrapparsi a un residuo di umanità.
Ancora un giorno è uno di quei film che mi fa sentire “piccolo”, inadeguato a parlarne. Perché c’è tanto dietro, a firma di Kapuściński in primis e poi quella Storia da conoscere, di ogni anfratto di questo mondo. Ed è una bellissima sensazione quando il cinema ti ricorda che il grande schermo è fatto per sovrastarti con le sue storie, portandoti a vagare con la mente verso fatti e sensazioni altre da ricercare, studiare, fare proprie.
Vi arriverà ogni immagine e parola, in particolare le profonde riflessioni di Kapuściński, con la potenza di un autotreno alla velocità di 100 km/h. Dritto sul volto. È un incanto e per chiudere vi lascio questo breve passaggio:
È potente questa confusão. Si insinua nei nostri cuori, non puoi sconfiggerla, puoi solo attraversarla ed emergerne esausto. Soddisfatto di essere riuscito a sopravvivere. Devi raccogliere le forze per quando ritornerà. Perché tornerà, lo fa sempre, ma anche allora ci sarà qualcosa a cui aggrapparsi per evitare di essere risucchiati. Ed è così che la superi, salvando qualcosa. Un ricordo, un pensiero, una riflessione.

Un pensiero su “Ancora un giorno con Kapuściński”