Un taglio troppo didascalico per Devil’s Knot, la storia dei West Memphis Three.
Ispirato a un episodio di cronaca nera americana e tratto dal libro di Mary Severitt, Devil’s Knot: The True Story of the West Memphis Three, Devils Knot – Fino a prova contraria dell’egizianocanadese Atom Egoyan è il racconto dell’interminabile caso che colpì Memphis nel 1993, quando tre bambini furono ritrovati brutalmente uccisi in un bosco.
Il sospetto cadde subito su tre ragazzi, Damien Echols (James Hamrick) Jason Baldwin (Seth Meriwether) e Jessie Misskelley (Kristopher Higgins). Il tutto si riconduce ai riti satanici poiché i tre sono degli emarginati che ascoltano musica heavy metal e sono effettivamente interessati alle arti occulte.
Una volta catturati però l’investigatore Ron Lax (Colin Firth) inizia a dubitare della colpevolezza dei tre e cerca di indagare più a fondo. Ottiene dei risultati, ma ciò si rivela inutile ai fini della sentenza della giuria che non ha dubbi sulla colpevolezza. Ancora oggi il caso non è stato risolto ed Egoyan ce lo dice tramite delle didascalie finali.
Una tragedia senza fine
Nonostante la pellicola sia diretta con maestria, ci si chiede se c’era bisogno di un film del genere, sia per la presenza d’infinite pellicole come questa e anche di qualità elevata (Prisoners, Texas Killing Field, Le paludi della notte, Zodiac) ma soprattutto perché la storia non ha un finale nella realtà, quindi anche quello di Devil’s Knot sembra un lungo cliffhanger in attesa di un sequel che mai ci sarà e che lascia lo spettatore perplesso.
Lo stile documentaristico
Egoyan sceglie un approccio documentaristico con una regia d’autore, forse anche troppo dato che allunga alcune scene a dismisura per dare sfogo all’autocompiacimento (almeno in apparenza). Questo a discapito dello spettatore, che rimane affascinato più dalla regia e dalla fotografia di Paul Sarossy che dal concatenarsi degli eventi.
Anche il modo di collegare le vicende è discutibile, per via delle didascalie che spiegano cosa sta accadendo in ogni scena al punto da sembrare una presa in giro.
Questa tecnica utilizzata in Devil’s Knot è un’arma a doppio taglio, in quanto a un elenco molto dettagliato delle ricostruzioni del processo si contrappone un’assenza pericolosa di qualsiasi caratterizzazione dei personaggi in quanto gli episodi da unire in 114 minuti di pellicola sono veramente tantissimi.
Empatia in fuga
Ciò impedisce che si venga a creare un qualsiasi tipo di contatto empatico fra pubblico e protagonisti, in special modo nei confronti dei genitori del bambino ucciso, Stevie Hobbs, Pam Hobbs (Reese Witherspoon) e Terry Hobbs (Alessandro Nivola) che rappresentano la famiglia più presente sulla scena, nonché verso l’investigatore interpretato da Colin Firth, un nuovo Henry Fonda (La parola ai giurati) che cercherà in tutti i modi di instillare nella testa di tutti un ragionevole dubbio per non portare sulla sedie elettrica degli innocenti.
Chissà se sapremo mai come andrà a finire questa storia, resta che forse è stato un errore dirigere Devil’s Knot, un errore in grande stile ma pur sempre tale.
Questo fa sorgere spontanea la domanda: basta una grande regia, una stupenda fotografia e un buon impatto visivo per innalzare una pellicola al rango di capolavoro? Se io dovessi rispondere direi assolutamente no: se manca il trasporto emozionale io non parlo di capolavoro e lo stesso dicasi, per carità, del caso opposto.
Un pensiero su “Devil’s Knot – Fino a prova contraria (Atom Egoyan, 2013)”