Philomena (Stephen Frears, 2013)

Philomena: una storia da ascoltare.

Arte, di certo, Philomena non lo è: Stephen Frears aveva due vie da scegliere fra l’elevare e il mostrare: ha optato per la seconda.

Il suo è un film meramente narrativo, spogliato di qualsiasi aggiunta estetica al di fuori della (necessaria) caratterizzazione cromatica di tempi e luoghi (fotografia di Robbie Ryan) perfetta riproduzione del contrasto fra gelo e calore che rende il Regno Unito un posto deliziosamente malinconico.

È una storia sulla storia di una storia: viene prima il libro (The Lost Child of Philomena Lee) e ancor prima la vita di Philomena, una fra le tante vittime – allora giovanissima, ora più che matura – delle case della Maddalena, condomini di pulizia dell’anima sporcata dal peccato originale.

Uno schermo rimpicciolito

Molto più del precedente film sull’argomento, dal titolo Magdalene e per la regia di Peter Mullan, Philomena porta il peso di una cifra stilistica figlia del linguaggio televisivo, di una regia fin troppo tradizionale e statica che non si spinge al di là dei campi lunghi relegando la dimensione del dialogo fra i personaggi entro i confini del campo/controcampo.

Collante ultimo e vagamente chic dell’operazione è il ridondante commento sonoro di Alexandre Desplatcandidato all’Oscar di default – nonché probabilmente un certo lato distorto del nostro immaginario che suole collegare le cosiddette storie al femminile a un campo semantico connotato da semplicismo e sentimentalismi un po’ stucchevoli.

Gli occhi profondi di Philomena

Per fortuna Philomena è tutt’altro: la profondità è di casa, non solo nei giochi – in senso stretto e lato – di luci e ombre, ma anche e soprattutto nel gioco di ruolo realizzato dai due eccellenti interpreti protagonisti.

L’adolescente schietta ora tramutata in un pozzo di sentimenti indescrivibili trova in Judi Dench il giusto punto d’approdo, la forma ideale, lo sguardo senza fondo che parla silenziosamente di una vita rubata, di una ferita insanabile, dell’irreversibile.

Steve Coogan, nei panni del giornalista depresso che l’aiuta a ricostruire la sua storia, è la parte mancante che si fa necessario completamento dando voce all’inespresso: a una rabbia che Philomena non avverte sua ma che nasce in chiunque venga a conoscenza della sua piccola grande sorte, cresciuta nel segno dell’ingiustizia.

Francesca Fichera

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