Schermi ribelli: il doppio omaggio di Creepshow
Il primo episodio della carriera di sceneggiatore di Stephen King ha luogo con la leggenda del cinema horror George A. Romero. Su questa collaborazione è utile fare un discorso a parte, poiché si configura innanzitutto come significativo ed ennesimo rientro, da parte dello scrittore, nel circuito cinematografico del genere, e poi, nell’intenzione di entrambi gli autori coinvolti, come affettuoso e divertito tributo ai fumetti della EC Comics[1].
Così nasce Creepshow, pellicola in cinque episodi dal piglio leggero e volutamente ironico nella quale King interviene non soltanto come autore ma anche come interprete – buffo protagonista del racconto in immagini La morte solitaria di Jordy Verrill, dove veste i panni di uno stupido e rozzo contadino alle prese con un ritrovamento alieno.
Il trionfo dell’immaginario horror
Al di là della ricercata stringatezza delle trame, le molteplici citazioni – il poster del Dracula di Todd Browning nella stanza del ragazzino, il riferimento al film Blob contenuto in Jordy Verrill – testimoniano una sentita conoscenza dell’evoluzione dell’immaginario horror in tutte le sue forme e contaminazioni.
Pur nel suo sembiante di prodotto cinematografico di terz’ordine, Creepshow riveste un ruolo fondamentale: attraverso il semplice stimolo della curiosità – chi sarà mai quel simpatico scheletro che, nei grezzi raccordi animati della pellicola, ammicca allo schermo per invogliarci a guardare? – riesce a trascinare l’osservatore indietro nel tempo fino a un’era culturale distante anni luce dalla nostra.
Il giro di boa dei Cinquanta
gli anni dei dischi volanti, degli invasori alieni che si connotano metaforicamente come i rossi marziani, in cui il pericolo dell’oltrespazio viene vissuto come mimesi della minaccia d’oltrecortina[2]
rappresentano anche un punto di svolta per il rapporto tra cinema e illustrazione: un’inversione.
Ora
è l’immagine disegnata a inseguire la proposta cinematografica.
È il tempo in cui L’invasione degli ultracorpi di Don Siegel fa raggiungere alla rappresentazione delle entità extraterrestri il grado zero della differenza: da inquietanti baccelli le creature spaziali si trasformano in perfette copie degli umani, tanto che la critica ha parlato, per il film di Siegel, di una denuncia della società di massa.
Mentre il cinema esibisce tutta la sua ricchezza evocativa, l’immagine disegnata si rifugia nell’analisi, critica e talvolta sociologica, della scienza e della tecnologia, della produzione e delle sue contraddizioni[3].
Caccia agli stregoni
A essere ricordati e accostati per un confronto non sono tuttavia soltanto i meccanismi produttivi di Cinema e Fumetto, ma pure le reazioni del contesto al loro mutare, l’assorbimento sociopolitico dei nuovi formati e la preoccupazione per gli effetti e le proporzioni della loro diffusione:
Non dimentichiamo che gli E.C. Comics furono osteggiati dalla censura maccartista e che portarli sullo schermo è uno sberleffo alla memoria del non compianto dottor Wertham [4].
Con Creepshow Romero fa proprio quel senso atavico di ribellione giovanile, di spinta senza tempo nei confronti del proibito, fortemente avvertito da King e trasferito in maniera analoga tanto allo spazio cinematografico quanto all’illustrazione fumettistica.
Generazioni in lotta
Cinema e Fumetto diventano luoghi alternativi per la non riconciliazione[5], per l’opposizione al rigore – nel film simboleggiata dal contrasto tra un padre assolutamente contrario alla lettura delle Tales e il figlio, risoluto a vendicarsi per la privazione subita.
In una parola: Creepshow riassume in sé le forme e i motivi moderni della contestazione, adottando a sua volta un modus operandi fuori da ogni schema – fatta eccezione di quello, convenzionale e funzionale, del racconto a episodi.
Non è quindi corretto affermare, com’è stato fatto non di rado, che la pellicola in questione rappresenti una caduta di stile nel percorso marcatamente anticonformista del regista di La notte dei morti viventi: anche Creepshow è a suo modo un film dalla forte connotazione politica.
La dedica del Re
Mentre per King e per ciò che riguarda la sua carriera è facile riscontrare in questo omaggio a(i) fumetti la funzione di anello di congiunzione fra l’origine del dialogo intermediale attuato dallo scrittore e la sua consapevole continuazione a partire dalla metà degli anni Ottanta[6].
Quella del Re è una dedica ai lettori degli EC Comics ma anche e soprattutto al se stesso di una volta, probabilmente mai scomparso: quel bambino terrorizzato dall’improvvisa interruzione di La Terra contro i dischi volanti, il 4 ottobre 1957, nella sala dello Stratford Theatre.
Francesca Fichera
[1] EC Comics sta per Entertaining Comics, casa editrice diretta da William Gaines, che la eredita dal padre Max sul finire degli anni Quaranta.
A cominciare dal decennio successivo Gaines introduce titoli nuovi nelle sue pubblicazioni con lo scopo di specializzarle nell’ambito delle crime stories, della science-fiction e dell’horror.
Di quest’ultimo filone fanno parte, fra i tanti, i fumetti di Uncle Creepy e delle sue Tales from the Crypt, citati esplicitamente da King e Romero all’interno del film.
[2] S. BRANCATO, Sociologie dell’immaginario, p.70
[3] Ibidem, pp. 70-71
[4] C. ASCIONE, La grande bottega degli orrori, p.147
[5] Ibidem, p.147
[6] Nel 1987 a Creepshow segue Creepshow 2, di cui Romero cura soltanto la sceneggiatura, cedendo la regia al più rude Michael Gornick.
Il film intende garantire una prosecuzione seriale dell’omaggio kinghiano a Uncle Creepy e, per farlo, imita palesemente la prima pellicola sia nella struttura che negli espedienti visivo-narrativi – i raccordi animati fra un episodio e l’altro, ancora più grezzi della volta precedente; il ragazzino irretito dal fascino delle Tales from the Crypt; la divertita ma orrida vendetta finale.
Il soggetto originale però resta kinghiano. A mancare è il piglio ironico della mdp, la perfetta e scanzonata mimesi narrativa attuata da Romero in accordo con il tono da horror comedy di King.
Gornick fa capo alle leggi di cassetta più che agli originari propositi dei due grandi maestri dell’horror. Forse è per questo che la promessa di serialità è subito infranta e il successivo Creepshow 3, oltre ad essere un flop clamoroso, di creepy ha soltanto il nome e lo stile, e non gli fanno più compagnia neppure George e zio Stevie.
Un pensiero su “Creepshow (George A. Romero, 1982)”