A parte BERLINO63… – di Francesca Fichera.
Non è successo niente di importante o di particolare, al Festival del Cinema di Berlino.
A parte Tim Robbins che camminava tutto tranquillo e imbacuccato sotto la neve. A parte la neve, appunto.
A parte che in sala si ride durante le scene più tragiche e grottesche senza apparente motivo – vedi il capolavoro di Ulrich Seidl, Paradise: Hope – o durante quelle dalla comicità più grossolana – vedi Lovelace di Rob Epstein e Jeffrey Friedman.
A parte che cera Tim Robbins (di nuovo) oggi in sala, a guardare con noi la boiata ufficiale del festival, The Necessary Death of Charlie Countryman.
A parte alcuni giornalisti (italiani, e non lo preciserei se non fosse che statisticamente sono in pratica SEMPRE loro) hanno laccredito-stampa e affermano di non aver MAI sentito nominare Joseph Gordon-Levitt, oppure stanno a lì domandarsi se Lovelace sia basato su fatti realmente accaduti e/o persone in carne ed ossa. A parte altri giornalisti, simpatici, cordiali e intelligenti che fortuna che ci sono loro ad attaccare bottone con naturalezza e a regalare copie delle loro bellissime riviste di altri mondi.
A parte lacqua di un quarto di litro a soli 4 euro e 10.
A parte le ciambelle a pranzo e a merenda, prima dellultimo film di Michael Winterbottom (altro, ennesimo nì della Berlinale). A parte che sta per concludersi il terzo giorno di lavoro e pare già sia passata una vita e mezzo.
A parte che questo diario sta assumendo linquietante forma di una canzone di Ligabue. Che non ci cinepiace (ma che, soprattutto, non centra un tubo con il festival). A parte tutto questo:
Berlino è bella piena di neve (queste son fissazioni, sì). Neve che gracchia sotto le scarpe. Vien quasi da cantare Flume di Peter Gabriel, mentre scende la notte sullo Speer intrappolato fra le lastre di ghiaccio.