Darkness (Jaume Balagueró, 2002)

Darkness: paura del buio.

Se, nel lontano 2002, qualcuno avesse solo osato dire che Jaume Balagueró aveva un gran futuro davanti a sé, è molto probabile che la gran parte delle persone avrebbe risposto con una smorfia o una risata sprezzante.

In quell’anno infatti usciva il suo Darkness, riproposizione del classico topos horror dell’haunted house (la casa infestata da spiriti maligni). E non convinceva quasi nessuno.

Quasi.

Di sicuro la regia del catalano incespica nel (ri)presentare il tema tanto caro alla tradizione del cinema dell’orrore,di un luogo nuovo, sconosciuto, simbolo di modifica e stravolgimento e proprio per questo specchio e resa allegorica di debolezze e disagi racchiusi nel profondo del nucleo famigliare che lo abita.

Questione di prospettive

Rispetto al materiale trattato, l’uso poco innovativo della mdp è accompagnato da dialoghi non troppo brillanti e da carenze di colpi di scena – la sceneggiatura è firmata dallo stesso Balagueró insieme con Fernando de Felipe.

Eppure quella che Morandini definisce «estenuata ricerca di un’atmosfera» è l’elemento positivo capace di schiacciare con decisione qualsiasi altra negatività: il perfetto clima di terrore, la materializzazione potente e trasversale dell’incubo umano, delle sue paure più recondite.

A concorrervi è in primis la fotografia di  Xavi Giménez, magistralmente cupa – darà il suo meglio due anni più tardi e non a caso nell’asfissiante L’uomo senza sonno – e dominata dalle ombre.

La “squadra del buio”

In secondo luogo ci sono gli attori: ingenui e approssimativi, volendo giudicarli sommariamente. Un punto debole che, stupendo lo spettatore più attento, si rivela essere il maggior vantaggio, la forza del loro gioco interpretativo e di squadra. Perché a cominciare dall’acerba protagonista Regina/Anna Paquin (ancora lungi dal diventare sex symbol vampiresco della tv e forse un po’ dimentica della lezione di piano di Jane Campion) tutti, nel loro essere al di sotto delle righe, appaiono veramente confusi e storditi dal terribile e opprimente disegno tragico nel quale si ritrovano invischiati.

Sembrano stare lì per caso, capitati all’improvviso nell’occhio del ciclone, caduti nel dramma senza parvenza alcuna di consapevolezza. Come accadrebbe se Darkness fosse reale. E allora ben venga un eurocast “sprecato” (che include l’inquietante e oscura presenza del nostrano Giancarlo Giannini, oltre a Lena Olin e Iain Glen nei rispettivi ruoli della madre e del padre di Regina).

Ben venga soprattutto una cura maggiore nel guardare. Darkness è un film in cui i dettagli contano più della sovrastruttura: lo dimostrano quei pochi fugaci momenti dove si palesa il talento visivo di Jordi Huguet, autore dello storyboard.  Che affascina plasmando il buio per colpire a tradimento attraverso le sue forme. E finisce col far preferire una conclusione lovecraftiana – o anche kinghiana – in cui la sola salvezza residua è quella di non vedere più niente.

Francesca Fichera

 

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4 pensieri su “Darkness (Jaume Balagueró, 2002)

  1. Io questo Bed Time devo ancora trovare letteralmente il coraggio di guardarlo. L’ha recensito il consorte, amico e cinecollega Faust, dopo esserne rimasto estasiato. Però quando lessi la sua recensione non mi stupii più di tanto: Jaume era solo un “diamante allo stato grezzo” (mi metto pure a citare Aladdin LOL) ai tempi di Darkness, è uno di quelli che ha saputo imboccare la giusta strada verso la grandezza… e speriamo la mantenga!

    – Fran

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