Drive (Nicolas Winding Refn, 2011)

Drive, un cult per i millennial dal danese Nicolas Winding Refn – di Fausto Vernazzani

Nightcall. Ryan Gosling è pronto, la prima scena del film Drive sta per essere girata, è una notturna e c’è da prepararsi bene con le luci, probabile che Newton Thomas Sigel non sappia di stare per firmare la fotografia più bella della sua carriera. Ed è ciak, la notte chiama, il regista danese Nicolas Winding Refn risponde svelto e per noi la pellicola inizia a scorrere con il nostro Driver protagonista, a disposizione per cinque minuti in cui qualunque cosa succeda ai suoi momentanei complici risucchierà anche lui, dopo sparirà. Sono dieci minuti d’adrenalina, Kavinsky e il loro brano ci comunicano che il regista vuole guidarci attraverso la notte e ci riesce alla perfezione, luci di taglio, un’angolazione curiosa dal basso inquadra il nostro uomo in un inizio emozionante che controlla il ritmo cardiaco.

Under your spell. Scorre in silenzio, la musica di Cliff Martinez ci accompagna per un po’ tra i sorrisi del Driver scambiati con Irene, l’altra protagonista del film vestita della fragilità interpretata abilmente da Carey Mulligan. È un incontro tra un ragazzo che ama guidare ed essere dalla parte di ciò che ama, le macchine e ciò che si può fare con esse – perciò stuntman e meccanico per Shannon (Bryan Cranston) -, ma non solo. Gli incontri però talvolta possono avere un prezzo, così deve aver scritto James Sallis nel libro da cui l’opera è stata tratta ed adattata dallo sceneggiatore Hossein Amini. Noi però a questo punto siamo già caduti sotto l’incantesimo di Refn, non possiamo smettere di pensare a quanto Drive sia magico pur non avendo ancora visto una vera storia svolgersi di fronte a noi.

A Real Hero. In Valhalla Rising non c’era storia, ma vichinghi pagani e cattolici che si squartavano tra loro in nome di Dio e non. In Drive c’è un vero essere umano, come cantano i College, ed anche un vero eroe che aiuta chi sente di dover aiutare pur essendo per qualche scherzo del destino contro di lui, e da lì iniziano i guai con chi non dovrebbero mai cominciare: i boss mafiosi Bernie (Albert Brooks) e il guerrafondaio Nino (Ron Perlman). Dai tagli, dalla presenza in fasci di luce che chiudevano Gosling in degli spazi luminosi stretti, si passa alla crescente dominanza di una melodia violenta, la trama prende corpo senza prepotenza e, da semplice automobilista, il nostro Driver si trasforma in uno schiacciasassi.

Oh My Love. Prima o poi tutte le ombre svaniranno, questo ci vien cantato da Riz Ortolani, tra la Culligan e Gosling sboccia l’amore, timido e nascosto tra le quattro pareti d’un ascensore condivise col male, un assassino. Refn racconta con una finezza così sottile una storia che in altre mani sarebbe potuta diventare genericamente definita “pulp”: Drive è lirismo, poche canzoni nella colonna sonora accompagnano alla perfezione una serie di momenti che potrebbero definirsi dei suddivisori, titoli di capitoli che raccontano ognuno una vicenda a sé stante, un vero e proprio libro filmico scritto con le meravigliose luci di Sigel e diretto magicamente da Refn. Drive è cult prima ancora che il tempo possa incoronarlo come tale, destinato in futuro ad essere sempre ricordato e (ri)visto con piacere.

6 pensieri su “Drive (Nicolas Winding Refn, 2011)

  1. l’importanza fondamentale della colonna sonora nel cinema è assoluta.Infatti non è un caso che le nostre commedia facciano pena dal momento che non abbiamo più compositori come Trovajoli ad esempio

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    1. Vero, basta la scelta di un buon brano musicale o una canzone per cambiare completamente una scena. Drive è “guidato” soprattutto dalla musica, senza quei pezzi sarebbe un tizio che guida una macchina e basta. Se da noi la smettessero con i nostri cantantucoli, cambierebbe già tanto! Però ci dobbiamo tenere Sanremo, perché Sanremo è Sanremo. Già lo slogan è privo di logica!

      Fausto

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