Midnight in Paris (Woody Allen, 2011)

Midnight in Paris, un dipinto di Woody Allen.

A Pontchartrain Production, scritto in carattere Windsor, il font che Woody Allen ha usato per tutti i titoli della sua torrenziale cinematografia, praticamente un marchio, come può essere la carrellata a retrocedere per Renoir.

È già felicità.

Nero, poi la Senna e la torre Eiffel. Le note di Si tu vois ma mère di Sidney Bechet. Va avanti il diaporama, in leggera dominante dorata che fa pendant con i marmi dei palazzi e le statue dei ponti. Il mulino rosso, l’arco di trionfo, ancora la torre che si intravede nelle feritoie lasciate aperte dai vicoletti, il negozio di Christian Dior. Viene a piovere, gente con l’ombrello, traffico per strada, all’imbrunire non piove più, cielo opalescente sui Campi Elisi, chiusura con la torre sagomata di giallo dalle lucette, su sfondo blu di Prussia.

Con questa rapsodia si apre Midnight in Paris: la sequenza non ha nulla da invidiare a quella (pur leggendaria e, se vogliamo, consegnata all’eternità e all’astrazione dal bianco e nero) di Manhattan. Il regista questa volta si proietta in Gil (Owen Wilson perfetto) sceneggiatore con velleità di scrittore che va in vacanza nella Ville Lumière con la deliziosa ma fatua futura sposa Inez (Rachel McAdams: senza sprecare parole sulla sua bellezza, diciamo solo che ha addosso la stessa patina dorata della scena d’apertura).

Gente all’avanguardia

Si intuisce subito che qualcosa li dividerà: lei abbocca alla pedanteria un po’ radical chic dell’amico di famiglia Paul (Michael Sheen, bravissimo a rendersi detestabile). Lui si abbandona alla flanérie notturna, che lo trascina magicamente indietro di novanta anni, quando da quelle parti bazzicavano il fascinoso Francis Scott Fitzgerald e la moglie Zelda, Cole Porter, Henri Matisse, T. S. Eliot, Pablo Picasso – che faceva tappa fissa a casa di Gertrude Stein, omaggiandone l’amicizia con il celeberrimo ritratto – il rude Ernest Hemingway, poi gente all’avanguardia, come Dalì, Man Ray e Buñuel (cui Gil si ritrova a consigliare nientedimeno chr la trama de L’angelo sterminatore, che Luis avrebbe realizzato circa quarant’anni dopo). Tutti grandiosi fac-simile storici, non scimmiottati ma, qua e là, saggiamente caricati.

Ma soprattutto c’è Adriana: uno schianto di donna che aprì piaghe in mezzo al petto già a Picasso e Modigliani e che ovviamente scocca la freccia di Cupido anche a Gil. Insieme vivono l’Età dell’Oro e poi passano al livello di sogno successivo (un sogno nel sogno con Marion Cotillard, tra l’altro, è una roba che è costata a Nolan dieci anni di vita e che ha fatto impazzire Leonardo DiCaprio) ritrovandosi nella Belle Époque, Chez Maxim, con Toulouse-Lautrec, Degas e Gauiguin.

Le dimensioni del sogno e della vita si confondono senza confondere lo spettatore, traghettato senza sosta da una sponda all’altra del film, da Méliès a Lumiere

annota con magistrale intuizione Gianluca Arnone, critico de La rivista del Cinematografo.

Un sogno d’amore

Allen, con Midnight in Paris, deroga alla nevrosi come conditio sine qua non dell’intellettuale, delegando al sogno e all’amore per i maestri il cantuccio dove trovare approdo sicuro. In attesa dell’esito del film romano, questa si può considerare la migliore trasferta del Woody entranewyorkese, baciato da un’inventiva drammaturgica che non ha richiesto (ma quando mai ce n’è stato bisogno?) virtuosismi registici, con il contributo indispensabile, oltreché dei costumi di Sonia Grande (collaboratrice di Almodovar ma con Allen già per Vicky Cristina Barcelona) della calda fotografia dell’iraniano Darius Khondji, eclettico cinematographer che è passato dal documentario (Zidane, un portrait du 21e siècle) a Fincher (Panic Room) fino a Wong Kar Wai (Un bacio romantico).

Menzione finale (e speciale) per gli attori: Corey Stoll è un fedelissimo Hemingway, lo stesso dicasi per il Fitzgerald di Tom Hiddleston, il Picasso di Marcial di Fonzo Bo, gli impressionisti, gli avanguardisti.

Su tutti svettano però la Gertrude Stein di Kathy Bates (Kathy Bates!) e, dulcis in fundo, il Dalì di Adrien Brody: c’è una scena in particolare che già viene citata a memoria da chi ha visto il film,ed effettivamente è da annali.

Quasi dimenticavo: come esperta di Rodin figura anche Carla Bruni, meno ornamentale di quello che le malelingue vogliano far credere.

Midnight in Paris sta fortunatamente sbaragliando il box office. In attesa delle designazioni della Academy ricordiamo che è stato presentato a Cannes, ma fuori concorso: così Woody Allen ha potuto osservare dall’alto tutti gli altri.

Elio Di Pace

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