Il gladiatore (Ridley Scott, 2000)

di Fausto Vernazzani.

Per il vademecum “Come farsi odiare della gente”, dopo aver parlato male di Johnny Depp, avrei voglia di dire due paroline anche su un grande colosso del cinema contemporaneo. Parliamo dunque dell’intoccabile Il gladiatore, quel film che il 90% degli esseri umani di sesso maschile innalza a proprio film preferito – il restante 9% è V per Vendetta, in quell’1% c’è tutto il resto. Al giorno d’oggi quella prima ventina di minuti è diventata qualcosa di quotidiano come le notizie riguardanti la vita sessuale di Corona, per non parlare poi dell’inizio dell’era di Facebook che ha visto frasi come “Al mio segnale scatenate l’inferno” e “Quello che fate in vita riecheggia nell’eternità” nella vita d’ogni giorno di tutti quanti. Possiamo dunque immaginarci studenti che vanno in bici a scuola immaginando d’essere Massimo Decimo Meridio e di scatenare l’inferno in aula gonfiando preservativi. Per qualche oscuro motivo questo film ha quindi fatto credere a molti patetici esseri umani di poter raccogliere gloria anche dalla più piccola puttanata come soffriggere delle cipolle senza piangere.

Ora voi penserete che partirò con un papiello che dimostrerà virgola per virgola tutte le inesattezze storiche delle mutande che indossa HISPANICO HISPANICO HISPANICO (Fate una ola tutti insieme!) o di quanto sia assurda la situazione del film… ebbene non lo farò. Sarebbe un discorso vuoto ed inutile, ma soprattutto superfluo visto che la pellicola ci dona il miglior patetismo made in USA, mischiando un po’ del caro vecchio Billy Shakespeare a quello strabenedetto sogno americano di questa ceppa, il che è già sufficiente per parlarne male con tanto amore davanti ad una tazza di tè  (fa molto chic snob spocchioso). Ciò che salva questo film è la sua luuuu[…]unga durata, ma se lo si guarda per bene dall’inizio che cos’è che possiamo notare?Analizziamo i primi 2 minuti: la mano di Massimo Decimo Meridio accarezza il grano, lentamente, facendosi trasportare dalle emozioni che gli dà quel dolce e delicato tocco con la natura e le antiche tradizioni della Mulino Bianco. Piango. No aspe’, quello è Fabio Volo che lo dice. Massimo non piange, guarda davanti a sé nel nulla e da un secondo all’altro ti aspetti che gli esca dalla bava alla bocca e che una scritta in sovrimpressione ti faccia capire che soffre di attacchi epilettici. Poi ecco che si vede un dolce passerotto. Massimo lo guarda. Sorride. Il passerotto vola. Com’è bello il mondo. Lagna musicale. Ma ecco che poi si scopre che non è un epilettico, ma un piromane che ha dato fuoco a mezza foresta del nord ed è un generale delle legioni romane che combatte contro i Goti (Tito Andronico hmmm… ). Tutto questo per far dire allo spettatore “Ma com’è bucolico quest’uomo”, “Che persone dolce” e a conferma di ciò quando passa in mezzo ai suoi legionari tutti gli sorridono perché amano la sua bucolicità, la amano talmente tanto che di lì a poco t’aspetti di vedere uno dei suoi legionari che gli si inginocchia davanti per far della genuflessione un piacere per il generale, capite a me. Seguono un po’ di frasi epiche, fuoco, fiamme, Tito viene nominato Imperatore da Marc’Aurelio, ma ecco che arriva Bruto su Furia il cavallo del West che accoppa il Cesare eccetera eccetera, lo schiavo che sconfigge l’Imperatore – Si ho spoilerato, va bene? Se non sapevate come andava a finire vuol dire che avevate seri problemi sociali –e qualcuno intanto laggiù in India loda Krishna.
Questo film potremmo dire che è una risposta al ‘che farei senza te?’ della magnifica (se se) Sabato Pomeriggio di Claudio Baglioni. Senza la sua famiglia lui prende e schiatta tutti in arena. Anche se più che la famiglia di Massimo si direbbe che quel piccolo istante in cui vede il passerotto sia stato il massimo (ahah gioco di parole, figo eh?No.) della sua vita, per il resto era un maniaco sessuale stupratore di grano che lui palpava in continuazione mentre sua moglie e suo figlio vivevano costantemente come cartoni per il tiro al bersaglio immobili di fronte ad un vialetto. Costantemente immobili. Tant’è che lo gnappo di Massimo davanti ad un branco di legionari a cavallo inferociti mica si sposta, resta là immobile come un mazza di scopa conficcata in terra pronto a farsi travolgere senza pietà. Un po’ come mettersi in mezzo ad un ‘autostrada a guardare davanti a sé come degli imbecilli – forse avrà preso da papà Meridio – un clan di autotreni che si avvicina sempre più fino a diventar parte di te. A parte papà Massimo ci sarebbe poi anche qualche altro personaggio se non sbaglio, la bona di turno che potrebbe anche non esserci se non fosse che Massimo deve poter sognare di sbattersi qualcuno e che il cattivo di Gioacchino Fenice con insinuazioni di incesto deve sembrare ancora più cattivo, così che lo spettatore possa immaginarselo a fare arf arf growl growl grrrr con la stessa ferocia di uno Yorkshire. Loro sono feroci, è che sono piccoli. Piccoli teneri Yorkshire. Questo per dire quanto Ridley Scott voglia ridicolizzare il cattivo, facendolo ringhiare nelle vesti di un povero imbecille che si trova a battersi con il vero uomo che non ha paura di sporcarsi le mani con la terra. Già che ho nominato Ridley potrei dire qualcosa sulla regia, ma preferisco non parlarne, che per quanto sia effettivamente buona e funzionale per questo polpettone d’intrattenimento, è vergognoso che un talento come Scott vada sempre più in basso grazie a sceneggiature che di fatto non aggiungono niente al panorama cinematografico mondiale, al contrario di molti dei suoi primi film. Ma mi sa che nel dirupo non ci si son buttate solo Thelma & Louise, si vede che anche Ridley Scott ha fatto un bel tuffo ad angelo.

4 pensieri su “Il gladiatore (Ridley Scott, 2000)

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