Basta che funzioni - CineFatti

Basta che funzioni (Woody Allen, 2009)

Basta che funzioni (anche se non tanto) 

Il burbero Boris Yelnikoff (Larry David) protagonista di Basta che funzioni è una voragine di ipocondria e cinismo, in continua lotta con il cosmo intero. Tentato il suicidio – senza i risultati sperati – si rifugia solo, zoppicante e incattivito in un sudicio appartamento nel bel mezzo di New York, da cui vien fuori soltanto per una birra e quattro chiacchiere fra amici.

L’incontro con Melodie (Evan Rachel Wood) giovanissima e biondissima provincialotta del Sud in fuga da casa spezza bruscamente il meccanismo di ritualità e paranoia nel quale l’anziano ha finora trovato rifugio dall’orrore della realtà.

In un vortice di sguardi in camera, battute incalzanti e soliloqui caustici si consuma il “ritorno alle origini” del caro Woody Allen che, dopo il grande successo diVicky Cristina Barcelona e le atmosfere angoscianti di Sogni e delitti, ha deciso di ritrovare se stesso ripescando dal suo archivio una vecchia sceneggiatura. E ha finito col perdersi.

Perché?

Il suo alter ego – senza dubbio il sessantaduenne paranoico – viene descritto con tale precisione da apparire perfetto nella sua anormalità. Le sue nevrosi, le assurde superstizioni – lavarsi le mani intonando “Happy Birthday” per scacciar via i germi – i cliché che tanto detesta ma dei quali alla fine si nutre: tutto viene tratteggiato minuziosamente, studiato a tavolino, di certo non per dare parola al personaggio in quanto tale, né per ravvivare l’azione e le situazioni.

Troppo Woody!

Sulla scena resta solo e soltanto Woody a divertirsi facendo di ogni interprete – su tutti il brillante Larry David – nient’altro che un ventriloquo di quello scaltro burattinaio che è il regista.

Ne risulta una commedia tutto sommato godibile che riesce nell’intento di strappare più di una risata al pubblico in sala ma che oscilla continuamente, fino ad allontanarsi da se stessa e incespicare sugli stessi stereotipi contro i quali tanto si accanisce.

Così, fra la caricatura surreale (o irreale?) di un’ingenua di provincia e quella di un padre bigotto che si rivela gay a cinquant’anni, le parole scorrono a fiumi, gli attori gigioneggiano e l’ombra del déjà vu e del già sentito incombe.

In ballo di nuovo il destino, la forza del caso, il dio arredatore sostituito dalla fatalità: Basta che funzioni sembra un Match Point dalle vesti più leggere e che fa sorridere. Ma non funziona abbastanza.

Francesca Fichera

Voto:  2.5/5

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