Shadow in the Cloud - CineFatti

Luce su Shadow in the Cloud

Il war movie action fantasy che non sapevi di voler vedere

È spuntato, all’improvviso e sui social diverse persone di fiducia hanno iniziato a parlarne, ma chi è Shadow in the Cloud? La prima risposta a cui riesco a pensare è questa: è il prossimo film che dovete vedere. La seconda non ce l’ho, perché nel documentarmi per scrivere questa recensione ho come rivisto Shadow in the Cloud sotto una nuova ottica, riscoprendolo da capo in un mucchio di qualità sue e della sua autrice che non avevo inizialmente colto.

Siamo sulla pista di atterraggio in Nuova Zelanda e un bombardiere B-17 battezzato The Fool’s Errand è pronto al decollo con un passeggero extra a sorpresa di nome Maude Garrett (Chloë Grace Moretz). Una ragazza a bordo, oggesù è subito il caos fra l’equipaggio deciso a non credere alla sua missione segreta – proteggere il bagaglio che porta con sé – a lanciare proposte sessuali e a dubitare delle sue elevate qualifiche da ufficiale.

L’equipaggio di sette uomini risolve velocemente il problema: chiusa giù nella torretta, solo con un microfono per comunicare e nulla più. Almeno per una buona parte di film sarà lei, la claustrofobia e il pandemonio. I caccia giapponesi sono alle calcagna del Fool e contemporaneamente spuntano dalle nuvole dei giganteschi e aggressivi gremlin. Se queste non sono ragioni sufficienti per volare durante la WWII, non so come convincervi.

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Al buio nella torretta.

Ci servono mostri

Io non ero pronto a questo piccolo film di genere scritto e diretto da Roseanne Liang. È stato un piacevole fulmine a ciel sereno dopo una violenta delusione (Soul) e un’aspettativa mancata (Wonder Woman 1984) che non cessa di riservare sorprese. Innanzitutto parliamo di un film d’azione come in molti lo vorremmo. Quante volte guardando alcuni titoli ci siamo detti ad alta voce e con discreta sicumera: “questo film ha bisogno di mostri”.

Shadow in the Cloud li ha ed è una cascata di problemi che, come giustamente nota la sua autrice Liang, riflette abbastanza bene la realtà della vita: dove sta scritto che un grosso problema non possa essere in compagnia di altri medio piccoli? La protagonista Maude deve affrontarne uno dopo l’altro: gli Zero giapponesi, dei grossi gremlin dall’aspetto di pseudo-pipistrelli antropomorfi e il sessismo diffuso dell’equipaggio del Fool.

È un crescendo? In realtà no, perché una volta stabilita la situazione Liang non aggiunge legna per aumentare le dimensioni del fuoco, si arriva a un punto di equilibrio in cui ogni disastro cammina a braccetto, costringendo Maude ad affrontarli in contemporanea. Senza tregua. Questo la rende una badass di quelle che con enormi difficoltà lasceremo andare senza citarla un minuto sì e l’altro pure. Maude è un idolo.

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Se a questa scena direte “che cazzata” sappiate che vi sto giudicando a distanza!

Lavoro di squadra

Il merito va interamente a Liang e ad altre due figure chiave: lo stunt coordinator Tim Wong e il montatore Tom Eagle. Entrambi già in precedenza collaboratori di Liang – dovete assolutamente vedere il corto Do No Harm – l’azione è sempre sul filo del rasoio fra onestà e spassosa esagerazione, mentre il montaggio conferisce un ritmo ideale fra spazi angusti, immagini mentali della protagonista Maude e puro e semplice dialogo col pubblico.

I miei momenti preferiti di Shadow in the Cloud hanno tutti una cosa in comune: Chloë Grace Moretz camminare a testa alta verso il pericolo, finché non è quest’ultimo stesso a fuggire da lei. Straordinario quel momento di lotta sul finale, una dichiarazione di spavalderia sia in scena che sulla pagina scritta: Liang ha un talento mostruoso per l’azione e pesca molto dal suo Do No Harm per portarlo in Shadow in the Cloud.

Sono infatti molte le somiglianze fra i due suoi lavori, ma perché ci tengo a sottolinearlo? Il motivo ha un nome ed è il co-sceneggiatore di Shadow in the Cloud, Max Landis. Quando nello sfogliare i credit del film l’ho trovato lì in bella mostra mi è un attimo venuto un colpo. Perché il figlio d’arte oltre a essere un rinomato stronzo – scusate, ma chi seguiva i Movie Fights degli Screen Junkies sa di cosa parlo – è anche un noto molestatore dal 2017.

Max Landis e il font gigante

In epoca Me Too gli USA non sono esattamente generosi coi subumani qual è Landis junior e mi ha stupito vederlo da quelle parti, soprattutto perché per un breve periodo è stato una sorta di guru del genere nelle arti narrative ed è facile immaginare come Shadow in the Cloud possa essere attribuibile a lui. Un film ambientato durante la seconda guerra mondiale rimpinzato di mostri, ci vogliono cinque minuti ad accreditargli tutto il merito.

Uno degli argomenti su cui è necessario fare luce per dare al Cesare giusto gli onori di questo gioiellino del cinema di genere è proprio il suo apporto al film: semi-inesistente. Il soggetto è suo, arrivato nelle mani del produttore Brian Kavanaugh-Jones che già era intenzionato a spazzare via Landis una volta affidato lo script alla Liang, la quale ha avuto il co-credit perché le regole della Writers Guild of America (WGA) prevedono che qualsiasi riscrittura che ammonta minimo al 50% del testo richiede la segnalazione dell’autore/autrice. Così è stato per la Liang.

L’assurdità è che il testo quando arrivò nelle sue mani era poco più di un’idea. Qui ho trovato conferma delmio (pre)giudizio su Landis: idee grandi tanto quanto la sua incapacità di trasformarle in storie compiute. La sceneggiatura iniziale di Shadow in the Cloud ammontava a meno di 70 pagine, visto che a quanto pare era (è?) sua abitudine scrivere con caratteri enormi. L’escamotage dello studente pigro, un Times New Roman 25. Gli stessi personaggi maschili, così ben caratterizzati e riconoscibili nel film, erano prima un branco senza identità.

In poche parole: dimentichiamo pure Landis, l’autrice di Shadow in the Cloud è Roseanne Liang. Si vede in Do No Harm quanto questa non sia una scusa per “cancellare” – verbo che sta assumendo una connotazione difensiva per il comune maschio bianco etero ferito nell’orgoglio genitale – l’autore originale, ma una conferma dello stile narrativo della regista neo-zelandese. La dottoressa protagonista dei dieci minuti di Do No Harm è mossa dalla stessa forza motrice che spinge Maude Garrett a superare i limiti della fisica pur di ottenere ciò che desidera.

Statemi a sentire, guardatelo.

Amici aviatori, attenti!

Fra gli aspetti più interessanti che hanno giovato dell’occhio di Liang ve n’è uno in particolare che giudicavo fuori di testa: quei giganteschi gremlin. Innanzitutto, perché chiamarli gremlin se a quel nome noi vi associamo le creature dell’omonimo film di Joe Dante? A quanto pare – ed è tutto merito di Shadow questa mia scoperta – la loro leggenda ha origine ai primi del Novecento, quando fra i piloti dell’aviazione militare britannica si sparge il racconto di questi mostriciattoli la cui passione sarebbe distruggere gli aerei in volo e distrarre l’equipaggio.

Credevo fossero dei mostri volanti buttati là, invece leggendo the Real Gremlins of WWII ho scoperchiato il vaso di Pandora, fra le informazioni anche che il mostro realizzato in CGI dai tipi della Weta Digital è un collage di varie descrizioni offerte dai piloti dell’epoca. Ne esistono diverse forme, da chi li immaginava come gnomi a chi dava loro l’aspetto di benevole figure immerse nel vapore, da chi se li figurava come lillipuziani a chi raccontava della lingua colma di denti e ali di pipistrello. Domandona: a quale di queste leggende si sono ispirati secondo voi?

Shadow in the Cloud appare come un action-horror-fantasy-war movie senza basi solide e invece è un agglomerato di scelte intelligenti e divertenti. Chloë Grace Moretz è sempre la hit girl dei nostri sogni – a quanto pare faceva gare di flessioni con lo stunt coordinator Tim Wong mentre sconfiggeva la sua claustrofobia per girare le scene nella torretta – e io non posso fare altro che esprimere un desiderio (posso chiedere la wish stone in prestito a Wonder Woman?) ed è quello di vedere di nuovo in coppia Moretz e Liang. Sembrano fatte l’una per l’altra.

Ah, prima che mi dimentico. La colonna sonora di Mahuia Bridgman-Cooper d’ispirazione carpenteriana è straordinaria. Mi ha catturato sin dai titoli di testa, spettacolare.

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