Penelope senza Ulisse, fra i proci del governo algerino
Conclusa la visione del bellissimo e controverso film franco-algerino Papicha la testa è corsa immediatamente a questa citazione di Francis Scott Fitzgerald, riportata in un articolo di Francesca riletto proprio di recente.
Avvicina la sedia al bordo del precipizio e ti racconterò una storia.
L’esordiente Mounia Meddour visse coi ricordi del padre quel precipizio dal nome Fronte Islamico di Salvezza, partito che vinse le elezioni nel 1990 e trascinò l’Algeria nel buio dell’integralismo religioso. Cresciuta coi racconti di scalate sulla parete del burrone anziché adagiarsi su vicende a lei vicine, ha preso una sedia e pescato una storia fra le tante verità imprigionate in fondo all’abisso. Là dov’è così buio si ascoltano i racconti più profondi.
La storia vera di Nedjma fu la grande pepita raccolta da Meddour. Una ragazza cool, una papicha in college a studiare francese all’inizio del fatidico decennio nero, un altro nella turbolenta storia dell’Algeria. Lei è l’immagine dell’emancipazione, una ragazza indipendente decisa a resistere a ogni tentazione egoistica: il suo sogno di fare la stilista, per cui mostra un raro talento, è in realtà il desiderio di essere una persona libera.

L’oppio dei popoli
L’introduzione delle letture ottuse dei testi sacri è cruenta. Gli attentati sono numerosi e la ferocia dei credenti dietro l’angolo ricorda l’imminente cessazione di ogni libertà. Figurarsi per una giovane ragazza come Nedjma, ferma nelle sue intenzioni: lotterà, urlerà al mondo “viva l’Algeria!” perché ama il suo paese e novella Penelope tesserà giorno e notte per dimostrare il suo affetto verso degli ideali irrinunciabili come l’indipendenza di pensiero.
La notte purtroppo presa dai fumi dell’oppio la popolazone aizzata da un governo violento disfa la tela di Penelope-Papicha e poco alla volta l’azione della tartaruga-mondo raggiunge gli ardui sforzi di Achille-Nedjma. È un frammento di storia, la migliore, quella della resistenza, e il finale lo conosci perché è già scritto: non vi è una remunerazione alla fine del tragitto, Papicha ti ripaga con la straordinaria sensazione della lotta.
Combattere per la libertà con le proprie passioni senza mai concedere una resa è quanto rende eccezionale la storia raccontata da Mounia Meddour. Un esordio osteggiato in patria, dove, a esser sincero, nemmeno so se sia mai uscito in sala, dopo che gli organi centrali di governo ne bloccarono la distribuzione per “ovvi” motivi: un film così aperto sulla condizione delle donne in paesi governati dalla religione è un pericolo per chi bacia i rosari.

Belle ciao!
Papicha è a sua volta una forma di resistenza, in buona compagnia di questi tempi in cui la condizione della donna domina le narrazioni cinematografiche. Solo questo weekend ho visto the Turning di Flora Sigismondi e We Summon the Darkness di Marc Meyers – oltre a Gretel and Hansel – dove l’argomento è affrontato in modi diversi. Del resto ne scrissi parlando di altri quattro film in cui è centrale il concetto di credere alle donne.
Meddour radicalizza quell’idea ed esige ascolto, partecipazione. La sua Nedjma interpretata divinamente da Lyna Khoudri non è mai mostrata come un personaggio capace di arretrare, né di una persona a cui sia necessario spiegare alcunché: è talmente consapevole di cosa stia accadendo da non aver bisogno di girarsi per sapere dov’è entrato quel colpo di pistola. È in bilico su un mondo prossimo al crollo ma insiste a reclamare ciò che è suo.
Con la regia ci uniamo nell’ammirazione per un personaggio forte, per cui non esiste alcun compromesso. È una Penelope in mezzo alla barbarie dei proci, a cui dovrà purtroppo cedere perché una fra troppi e il dolore della repressione è un vizio difficile da scacciare in confronto alla sanguinosa gioia di una lotta incessante. Papicha è un film che ricorda quanto è amara la vita, ma soprattutto quanto è importante difenderla, senza paura.
La resistenza è anche una sfilata di moda, una goccia nell’oceano.

p.s. Papicha arriva dal festival di Cannes 2019, dove fu presentato nella sezione Un certain regard. Non vinse nulla, ma è l’ennesimo grande film proiettato in quell’edizione d’oro insieme a Parasite, Little Joe e Ritratto della giovane in fiamme. Il bello è che non finisce qui, ne devo recuperare ancora molti!