Niente baccelli per l’invasione di Little Joe
L’invasione degli ultracorpi, ed è uno.
Il giorno dei Trifidi, e sono due.
Frankenstein o il moderno Prometeo, e so’ tre.
Diamine quant’è difficile scrivere di Little Joe con quei tre sassolini nella scarpa, l’austriaca Jessica Hausner ha diretto e scritto insieme a Géraldine Bajard un film interessante con quegli antenati fastidiosi talmente in primo piano dall’oscurare gli elementi che lo rendono l’ennesimo gioiello del Festival de Cannes 2019.
L’immaginario di genere della Hausner sogna con le parole di Murray Leinster e compagnia cantante, ma è davvero questa serie di ispirazioni il volto con cui vogliamo ricordare Little Joe, traghettarlo verso il futuro? Me ne preoccupo perché ritengo il piccolo Little Joe un film degno di sopravvivere alla polvere del tempo.
Strisce di ossitocina
Alice Woodard (Emily Beecham) è una genetista botanica pronta a sbancare alla prossima fiera floreale: ha dato alla luce Little Joe, in onore dell’altrettanto nerd Joe, suo figlio adolescente, un fantastico fiore rosso da coccolare in casa per avere in cambio il rilascio nell’aria dell’ossitocina, un’ormone da loro definito fonte di felicità!
Certo alcuni colleghi sono perplessi, magari anche gelosi, non Chris (Ben Whishaw) subito a bordo e in men che non si dica insieme al Joe in carne e ossa… prime vittime umane di Little Joe. Ormoni sì, ma anche sostanze capaci di scansare la sterilità indotta da Alice e diffondersi influenzando l’attività cerebrale di chi lo annusa.
In poco tempo Alice è isolata da un mare di uomini e donne innaturalmente felici, spettacolo angosciante, un grande punto interrogativo su quali siano le emozioni che caratterizzano la serenità, se esistano affatto, oppure, se in realtà non sia proprio tu a essere in procinto di cambiare. Domande, domande, domande.
Ultracorpi o voodoo?
Gli evidenti avi narrativi di Little Joe sono nulla in confronto all’importanza della musica di Teiji Ito. Chiunque abbia visto il primo film in lingua inglese della Hausner – conquista così la terza dopo tedesco e francese – non avrà potuto fare a meno di notare la presenza ossessiva e invadente della colonna sonora composta da Ito.
In realtà Ito è morto da un quarant’anni buoni, ma the Shamanic Principles e i tre Watermill sono protagonisti assoluti insieme a Emily Beecham. Anzi, azzarderei superino persino l’attrice dalla chioma rossa in quanto a importanza, costretta a coreografare ogni sua azione per rispettare suono e immagini fin quasi ad annientarsi.
La storia stessa la vuole rimpicciolita dinanzi all’azione di isolamento imposta su di lei e il ritmo dei tamburi, le note graffianti di Ito non fanno altro che acuire l’atmosfera di inquietudine, azzarderei tribale. Wyndham et familia saranno origini evidenti, qui però c’è Maya Deren in ogni dove e lo spettro degli zombie haitiani.
Gli zombie di Jessica
Little Joe è il classico film di zombie che cammina in bilico sul filo fra horror e fantascienza. È difficile per la stessa Hausner nelle interviste chiudersi in uno o l’altro scatolone, ma la ritualità haitiana ripresa dall’avanguardista Deren, moglie del compositore Teiji Ito che per lei produsse tutte le colonne sonore, è ovunque in Little Joe.
La malignità dei baccelli impallidisce quando incrocia lo sguardo degli zombie della Hausner, gusci svuotati di ogni sensazione definibile umana e con l’unico intento di consumare il prossimo per condividere e ammirare quel nulla di fatto. Alice Woodard è sola, un piatto gustoso da afferrare e convincere a unirsi alle fila di Little Joe.
We’re coming to get you, Barbara disse uno zombie ne La notte dei morti viventi di George A. Romero e le bugie di Chris e gli altri conquistati dal fiore sono una nuova formula verbale per esprimere lo stesso concetto. Riemerge però quel tratto comunitario, tribale appunto, al contrario degli zombie dominati esclusivamente dal consumo.
Il divino cavaliere
Quieta nella sua affezione al lavoro, Alice ora vive quanto Maya Deren descrisse in Divine Horsemen – The Living Gods of Haiti: “Per quanto l’haitiano non ami alcun incontro con gli zombie, il suo reale timore è di essere mutato in uno lui stesso”. È lo stesso terrore negli occhi Emily Beccham, palma d’oro alla miglior attrice a Cannes 2019.
Lei stessa che da un corpo morto creò la vita – Frankenstein, sì – ora è terrorizzata dalla possibilità di esserne soggiogata. La modernità portata da Jessica Hausner, estimatrice di Maya Deren, è nello stile che favorisce i colori pastello, l’iscrizione negli spazi architettonici e la generale perfezione degli ambienti.
In questi ambienti stride la musica di Teiji Ito, parlano con ancor più umanità gli occhi dei protagonisti – Ben Whishaw sa trasformarsi come pochi altri senza dover far praticamente nulla – perché bramano una qualsiasi forma di normalità, pigrizia, accidia, un briciolo di umano vizio in cui rifugiarsi, prima che sia troppo tardi.
2 pensieri su “Little Joe balla il voodoo”