Scrubs - CineFatti

Una canzone per Scrubs

Dieci anni dopo Scrubs è ancora perfetta

È sola col suo antiquato 4:3 Scrubs, è una specie in estinzione nelle famigerate liste. Il supremo consiglio oscilla tra Seinfield e the Big Bang Theory sfiorando appena quei medici ai primi ferri portabandiera di grandi passi in avanti per le situation comedy statunitensi. Chi prima e dopo Bill Lawrence ha giocato tanto col fuoco raccontando la quotidianità della morte attraversando l’intero spettro? Se altri esistono, fatemi sapere.

Dieci anni fa il 17 marzo Scrubs finì per la seconda volta col meritato fallimento del reboot/nona stagione, cast nuovo e nulla in comune con la vera sit-com conclusa il 6 maggio 2009. Iniziò il 2 ottobre 2001, ma il vero numero 1 per me è un episodio in particolare, il quarto: La mia vecchia signora. Il suo autore Lawrence aveva un piano e seguirlo richiedeva spazzare via lo zucchero e raccontare la cruda verità della vita (eh) in ospedale.

Il dr. John Dorian (Zach Braff) è da pochi giorni impiegato come specializzando all’ospedale universitario Sacro Cuore e in quel particolare giorno riflette su un’informazione statistica: un paziente su tre ricoverato nel loro ospedale morirà lì. Le probabilità però a volte peggiorano e sul finale nessuno dei tre diversissimi pazienti in cura agli specializzandi sopravviverà, ognuno per le più disparate e tragiche ragioni.

Leonard Cohen in sottofondo.

È la qualità di Scrubs unire l’assurdo alla verità. Sei nel mezzo di una bizzarra fantasia mentale di JD quando solo un attimo prima riflettevi sulle atroci conseguenze fisiche e sociali di un cancro. Talloni un paziente simpatico e intavoli una discussione pacata e dopo lo trovi con un lenzuolo a coprirgli il viso. Scrubs unisce commedia e dramma con umanità, dinamiche mentali che senti di poter davvero toccare con mano.

Un esempio è Il mio eroe, verso il finale della prima stagione. L’irascibile mentore di JD Perry Cox (John C. McGinley) ha in visita il fratello dell’ex moglie Jordan (Christa Miller) ed è la guest star Brendan Fraser: un chiodo conficcato nella mano svela casualmente una malattia ben più grave strisciante in sottofondo. È il giusto momento per capire i limiti delle persone che idolatriamo, la nostra capacità di razionalizzare e distaccarci.

Ovviamente dopo aver preso in giro abbondantemente JD e scattato polaroid imbarazzanti di chiunque per l’intera durata dell’episodio. La commedia resiste con la pragmaticità dell’infermiera Carla (Judy Reyes) la spavalderia del miglior amico e chirurgo Chris Turk (Donald Faison) le goffe interazioni sociali di Elliot Reed (Sarah Chalke) e l’absurdist humor dell’inserviente senza nome (Neil Flynn). Ma la conclusione è quella.

Guided By Voices in sottofondo.

Dieci anni dopo ancora deve presentarsi una sit-com simile nel trattare vita e morte con la medesima frequenza. Se dovessi individuare una serie capace di innovare il format come lo fu Scrubs allora non avrei alcun dubbio a individuarla nella feroce satira di C’è sempre il sole a Philadelphia della rete FX, peraltro in onda dal lontano 2005. Non How I Met Your Mother o the Big Bang Theory, nemmeno the Office o Brooklyn Nine-Nine.

La serietà di norma nelle sit-com è una guest star come tante, mentre Scrubs l’accoglie appunto come se fosse un membro di famiglia. La MIA vecchia signora la chiama ed è chiaro non si tratti solo dalla dolce anziana protagonista dell’episodio, il riferimento è alla NERA signora. Ora non ricordo in quale, ma appare letteralmente nelle corsie dell’ospedale in un paio di occasioni, sempre nelle numerosissime fantasie di JD.

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A fare di Scrubs una sit-com speciale si aggiunge un elemento che ho sempre faticato a isolare finché Lawrence in un’intervista non ha citato l’origine nei Simpson. L’ospedale Sacro Cuore è una Springfield in miniatura: esistono dei protagonisti e sullo sfondo decine e decine di personaggi, alcuni classici secondari di crescente importanza col passare delle stagioni, altri piccolissimi ma con le loro brevi storie da raccontare.

In otto stagioni la nota di colore è sempre presente oltre l’occasionale guest star – Fraser nel 2001 era ancora fresco fresco di maledizioni egizie dalla Mummia – per rendere credibile un’intera struttura ospedaliera dove sarebbe folle pensare esistano solo quel pugno di protagonisti sotto la direzione del dirigente Bob Kelso (Ken Jenkins). Io il Sacro Cuore non saprei immaginarmelo senza i suoi mini-personaggi simpsoniani.

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Il microcosmo di Scrubs ragiona per insiemi e non alberi genealogici con allegati umani ai protagonisti, sono questi a essere anzi assai rari: esclusa la famiglia di JD nessuna delle altre appare se non per uno o al massimo due episodi. Ci si dimentica dei fratelli di Turk, Carla e Cox, hanno una maggiore presenza figlio e moglie di Kelso, a rappresentare la quota di personaggio fantasma presente in ogni sitcom. Stile madre di Howard in the Big Bang Theory.

È lo strumento ideale per uscire dalla prigionia della guest star, nonostante ve ne siano state di notevoli per fama come Ryan Reynolds nel 2003 dopo il successo di Van Wilder l’anno precedente. Ma se dovessi elencare i miei preferiti avrei senz’altro Dick Van Dyke in cima con Michael J. Fox insieme a Heather Graham e Amy Smart. Menzione d’onore alla brevissima apparizione di Christopher Meloni in veste di pediatra.

Arrivati qui in fondo avrete capito quanto questo sia un articolo nostalgico, una seria analisi di Scrubs potrei farla solo distanziandomi dal secondo rewatch in cui sono ora investito da quando Prime Video l’ha messa in catalogo. È impossibile resistervi, una volta cliccato play sul pilota iniziano all’unisono le mille canzoni che la contraddistinguono, Colin Hay e Joshua Radin tornano in cima ai miei ascolti su Spotify.

Concludo condividendo la mia enorme sorpresa nello scoprire che Neil Flynn ha improvvisato una gran quantità dei suoi monologhi. Chi ha visto Scrubs sa a cosa mi riferisco e non immaginavo che la sceneggiatura gli riservava qualche brutto tiro indicando semplicemente: “Neil, dì qualcosa di simpatico”. Certi sproloqui sono incredibili da immaginare per quello che sono, inventati sul momento davanti alla macchina da presa.

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Il finale fu anche incredibilmente soddisfacente. Quante volte possiamo dirlo?

Peter Gabriel chiuse il sipario.

Prendete i fazzoletti.

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Un pensiero su “Una canzone per Scrubs

  1. Forse una delle analisi più belle che abbia letto su Scrub. Molte volte mi è capitato di leggere recensione su Scrubs e su quanto sia stata bella ma in pochi sono riusciti ad analizzare bene i motivi della sua genialità, ovvero il narrare la vita e lamorte con il suo stile, la sua dolcezza ma anche il suo realismo.
    E’ stato un ottimo articolo.

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