Torna la celeberrima tata, a corto di zucchero, ma con la magia di Emily Blunt
Grazia, arguzia, vivacità e un pizzico di azzardo. Tutto questo porta in dote Emily Blunt a Mary Poppins 55 anni dopo l’indimenticabile Julie Andrews.
La sua misteriosa tata scesa dal cielo aggrappata a un vezzoso ombrello con manico di pappagallo è qualcosa di classico eppure moderno. Un personaggio meno magico e più reale, una donna autentica e attuale, oggi come nel 1934, anno di pubblicazione del romanzo di Pamela Lyndon Travers.
Nel libro così come sul grande schermo Mary dà colore al bianco e nero, trasforma ciò che è noioso in divertente, aiuta a guardare il mondo da un’altra prospettiva, a non fermarsi alle apparenze. Ed è esattamente ciò che fa Emily Blunt in Il ritorno di Mary Poppins, più che un sequel del classico Disney del 1964, un innamorato omaggio.
Magia senza zucchero
L’incantesimo però questa volta riesce solo a metà, malgrado la splendida prova di Blunt (peccato non poter ascoltare la sua voce originale nel cantato), la fermezza condita di dolcezza della sua Mary, il suo amore per il rischio. Sarà pericoloso? chiedono i piccoli Banks. Chi può dirlo? risponde Mary con un sorriso impertinente, in precario equilibrio sulla bicicletta dell’amico Jack.

La sceneggiatura di David Magee attinge al seguito scritto da P. L. Travers nel 1935 per descrivere l’età adulta dei fratelli Banks. Il regista Rob Marshall (Into the Woods) ambienta la storia durante la Grande Depressione degli anni ‘30. Che è poi quella che sta vivendo in pieno anche Michael Banks (Ben Whishaw) annientato dal dolore per la morte della moglie e prigioniero di un lavoro in banca in cui il suo animo artistico non si riconosce.
A condire il racconto la colonna sonora (non memorabile) di Marc Shaiman e Scott Wittman e numeri musical poco coinvolgenti (uno su tutti quello con la cugina Topsy-Meryl Streep e il mondo sottosopra ogni secondo mercoledì del mese) che non riescono a replicare l’effetto sorpresa di quelli del film del 1964. E così anche la sequenza con gli inserti a cartone animati, durante il viaggio tra i cocci di un vaso di ceramica, non riesce a stupire fino in fondo.
Sulle spalle di una gigante
Se il film regge fino alla fine è solo grazie alla vitale prova di Emily Blunt, in pratica perfetta sotto ogni aspetto nella sua austera eleganza tutta longuette e cappellini, sorrisi appena accennati e occhiate severe.
Mary Poppins questa volta arriva a Londra al 17 di Cherry Tree Lane, quando Michael indebitato con la banca, rischia di perdere la casa della sua infanzia. Sua sorella Jane (Emily Mortimer) gli è sempre accanto, lo aiuta a crescere i suoi tre figli e lotta per i diritti della classe lavoratrice distribuendo volantini e timidi sorrisi al lampionaio Jack (la stella del musical Lin-Manuel Miranda, poco incisivo in un ruolo che ricorda troppo da vicino quello dell’inarrivabile Bert-Dick Van Dyke, che qui ritroviamo in altre vesti in un gustoso cameo danzante).

A Mary, oggi come ieri, l’arduo compito di tenere unita la famiglia, e di aggiungere un pizzico di creatività e colore alla quotidianità di casa Banks.
Resta intatto il suo mistero e il suo fascino in quel suo ultimo malinconico sguardo di commiato mentre si specchia in un palloncino colorato. Impossibile non chiedersi da dove arrivi, dove andrà una volta scomparsa tra le nuvole. Se tornerà e se sarà sempre capace di guidare i sogni dei bambini che al sogno sono poco inclini e degli adulti che hanno dimenticato di essere stati bambini. Di dissolverne la paura con un sorriso irriverente. E di aiutarci a trovare la luce in fondo a un vicolo immerso nella nebbia.
Francesca Paciulli
Voto: 2.5/5
Non l’ho ancora visto. Un vero peccato che non abbia funzionato a dovere!
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