Mary Shelley - CineFatti

Quando il mostro è Mary Shelley

Le avventure sentimentali della giovane Mary Shelley.

È cosa buona e giusta quanto accade nei nostri giorni, un cinema focalizzato su un’ampia rappresentazione delle minoranza e dei generi, ma qual è il limite dopo il quale questa volontà si trasforma nel suo peggior nemico, in una disgraziata creatura? Perché tanto è la Mary Shelley diretta dalla emergente regista saudita Haifaa Al-Mansour.

La storia con protagonista l’eterea Elle Fanning – si sprecano gli aggettivi ricercati su un’attrice ancora oggi inferiore alla sorella Dakota, concedetemelo – vorrebbe rendere giustizia all’esser donna dell’autrice di Frankenstein, il romanzo sul moderno prometeo che secondo alcuni è da considerarsi l’origine del genere fantascientifico.

In realtà quelle pagine rappresentano ben altro rispetto a un semplice inizio, ma è insensato preoccuparcene se la stessa Al-Mansour su testo di Emma Jensen non se ne cura affatto e, anzi, fa della creatura un riflesso della condizione femminile: sola in un branco di mostri incapaci di comprendere la natura della donna.

Piccole donne

Mary è ancora sotto il tetto del padre letterato William Godwin (Stephan Dillane) e della tremenda matrigna (Joanne Froggatt, finalmente lontana da ruoli buonissimi) quando tra una proibita storia di fantasmi e l’altra incontra l’affascinante, ribelle e ovviamente bono Percy Shelley (Douglas Booth), con cui subito scatta la scintilla.

Colpo di fulmine e in tempi stretti son già famiglia, ma la passione per la scrittura ha annebbiato la vista di Mary, non resasi conto di quanto piccolo fosse il suo compagno. Non uomo, ma insieme di vizi e poche virtù, tra cui certamente non figura la fedeltà. Orrore e raccapriccio, Mary ferita nell’orgoglio è sempre più depressa.

Arriva poi quell’invito in Svizzera, nella magione di Lord Byron (Tom Sturridge) dove una notte lui, John Polidori (Ben Hardy) e i due Shelley saranno sfidati a scrivere una storia di terrore mentre fuori le finestra imperversa una tempesta. Il resto della leggenda la conosciamo ormai a memoria e lasciamola lì, al sicuro da Mary Shelley.

La donna indiependente

È un romanzetto hipster da due soldi quello sullo schermo, una vita tradotta in una romantica avventura d’amore dove i reali obiettivi raggiunti dalla donna protagonista sono del tutto secondari rispetto alla sua evoluzione come fidanzata, moglie e amante. Mary Shelley nel suo omonimo film resta sempre dipendente dal suo rapporto.

Anche quando è ormai slegata da lui il Frankenstein appare come il figlio strano di un rapporto che forse non s’aveva da consumare. Il peggio di questa falsa storia di donne è però la recitazione atroce in cui ogni singolo interprete si crogiola.

La Fanning fa se stessa, alta, bionda con gli occhi azzurri e arrivederci e grazie, come se questo fosse il massimo. Douglas Booth è degno di una fiction italiana, ruolo di terzo livello rispetto a Neri Marcoré, ma il peggiore è il ritratto di Lord Byron, ispirato da Jack Sparrow e dai peggiori adattamenti de Il ritratto di Dorian Gray.

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Chi sta guidando?

L’importanza di Haifaa Al-Mansour è nella sua stessa persona, una regista saudita. In Arabia tutto sono meno che per l’eguaglianza di qualsiasi cosa e dunque lei in una posizione artistica di rilievo è un segnale da tenere acceso, tuttavia già con l’esordio La bicicletta verde dimostrò di essere priva di uno sguardo profondo.

È figlia delle storie e dei suoi interpreti, talvolta una manna dal cielo per chi non ha particolare talento, ma in questo caso avendo trasformato Mary Shelley in una ragazza innamorata con la passione per le lettere – potrebbe essere persino Bella Swan – e il primo cast inglese mai visto di incapaci riuniti… il risultato lo intuite da voi.

Non stupisce infatti che in patria se ne sia parlato poco e se qualche attenzione l’ha ottenuta è solo grazie alla fama di Elle Fanning e al personaggio che interpreta, su cui mai si spegnerà la curiosità. Riguardo ad Haifaa Al-Mansour possiamo solo concludere segnalando l’arrivo del suo terzo film, su Netflix dal 21 settembre, Nappily Ever After.

Una Mary Shelley che ci piace? Edith Cushing.

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Fausto Vernazzani

Voto: 2/5

2 pensieri su “Quando il mostro è Mary Shelley

    1. Io l’ho trovata assai fuori luogo e un po’ stereotipata, come a voler omologare Lord Byron a un personaggio tipo delle narrazioni storiche di questo periodo. In ogni caso per me è una nota negativa in un lavoro decisamente orribile :P
      (scusa il ritardo, connessioni assenti in certe terre!)

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