Dawn of the Deaf, l’alba tragica dell’homo homini lupus
Una ragazza seduta a colazione con i suoi, un giovane al microfono sul palco di un incontro importante e una coppia lesbica vicina alla rottura: cosa li accomuna? Sono tutti affetti da sordità, elemento che avrà un ruolo fondamentale nello sviluppo di Dawn of the Deaf.
Al corto diretto da Rob Savage e finito di diritto negli Staff Pick di Vimeo sono arrivata grazie alla segnalazione di Emanuele Manco contenuta in questo articolo – grazie-sai, Emanuele.
E sì, il fatto che ora ve ne stia a parlare su CineFatti rappresenta di per sé già un invito a dargli almeno un’occhiata.
Definire l’eccezione
Su un film breve che aspetta più di due terzi della sua durata per esplodere, in realtà non basta aprire occhi e orecchie una sola volta: Dawn of the Deaf fa parte di quelle prove d’eccezione che tira la corda fino allo stremo e riesce a non spezzarla ma, anzi, a fissarla ben bene in profondità.
Ha poco spazio ma dice e mette tutto al suo posto: l’handicap in superficie, il disagio in mezzo e, sul fondo, il dramma sociale nelle sue più varie e tragiche declinazioni.
Perché per la ragazza che tasta le vibrazioni del suo stereo, per l’ometto in giacca e cravatta rivolto con emozione al suo pubblico e per le due omosessuali sul punto di lasciarsi essere sordi è forse l’ultimo dei problemi; anzi, in un breve momento diventa addirittura una soluzione.
E gli zombi?
Agli zombi di questa fulminante parabola horror va il compito di spezzare un filo difficilmente ricucito, come un fulmine a cielo non del tutto sereno. Se Rob Savage impiega 8 minuti su 11 a spiegare che cosa significa vivere per i suoi protagonisti, nei restanti 3 si occupa di mettere in scena la morte che li circonda.
Tutto Dawn of the Dead resta saldamente poggiato su uno splendido ed equilibratissimo scambio fra regia e scrittura, entro il quale Savage diluisce l’emozione come un veleno messo di nascosto nel bicchiere: con le gocce di dettagli apparentemente insignificanti ma destinati a pesare e colpire senza pietà alcuna.
E quando la macchina da presa volteggia attorno a Nat e Imogen stupisce il modo in cui ci viene restituita la potenza inclusiva del punto di vista, perché anche i sottotitoli del linguaggio gestuale scompaiono nel momento in cui i corpi si frappongono fra loro e l’obiettivo.
Come a voler dire: sono uguali a noi, solo che gli zombi non vogliono capirlo.
Francesca Fichera
Voto: 4/5
L’ha ribloggato su La finestra di Hoppere ha commentato:
Dawn of the Deaf (corto) – Una recensione
"Mi piace""Mi piace"