Una dose di Downsizing e vissero per sempre piccoli e felici…
Quante volte abbiamo detto di sentirci piccoli dinanzi la grandezza del pianeta? Alexander Payne parte da questo assunto per immaginare cosa accadrebbe se tutti decidessimo di rimpicciolirci e concederci una vita migliore. Basterebbe una formula di Downsizing.
C’era una volta una famiglia americana ordinaria…
Paul Safranek (Matt Damon) è un americano medio, terapista occupazionale, che sogna una vita normale. Non ha grandi ambizioni se non quella di lasciare la casa di famiglia, ereditata, per potersene permettere una più grande insieme a sua moglie (Kristen Wiig) e magari mettere su famiglia. Lo scontro però tra i sogni e la realtà si fa sempre più stretto, fin quando una soluzione sembra poter mettere fine ai loro affanni: farsi rimpicciolire, con la speciale formula inventata da uno scienziato norvegese, scegliere la cittadina più accattivante e ripartire da zero con una vita finalmente su misura.
Tutto sembra ormai promettere un futuro migliore, ma per Paul in realtà la vita cambierà completamente, a cominciare dalla convivenza cruciale con il vicino serbo (Christoph Waltz) e l’inaspettato incontro con una famosa vietnamita (Hong Chau) sopravvissuta ai soprusi della sua patria.
Il presente come volontà e rappresentazione
Dopo la fotografia in bianco e nero di Nebraska, Alexander Payne decide di focalizzarsi maggiormente sulla percezione che abbiamo del presente, o meglio ancora su come la realtà del mondo circostante, una continua rappresentazione di scenari apparentemente diversi, influenza il nostro modo di rispondere a questi impulsi.
La nostra percezione del mondo non riuscirà mai ad essere totalmente lucida secondo Payne, se non ci esercitiamo a discernere ogni elemento che compone la realtà, e come ci vengono rappresentati. Magari anche vendute a costo di sacrifici, la cui necessità non è sempre ben chiara all’acquirente/spettatore di turno.
Un’avventura trascinante ma priva di coraggio
In Downsizing non c’è alcun romanticismo. C’è un humor amaro che intrattiene con curiosità lo spettatore, per vedere se davvero lo svampito e ingenuo Paul riuscirà ad aggiustare il tiro della sua vita grazie a una nuova trovata scientifica. Qui parte la prima critica a quella fetta di mondo che a suon di sostenibile vorrebbe o si illude di trovare una soluzione, venduta da ondate di marketing accattivante e studiate per target, pronte a nutrirsi delle speranze di vittime forse anche troppo innocenti.
È la storia di un fallimento per Paul, ed è la storia di un’avventura sospesa per Payne. Se a fine film si esce dalla sala chiedendosi che cosa in fondo il regista avrebbe voluto dirci, cercando di andare oltre forse il più scontato messaggio di imparare ad apprezzare le piccole cose, vuol dire che qualcosa è andato storto.
Non per il messaggio in sé, che può avere sempre una sua valenza se espressa con dignità e originalità, ma perché non è quello che ci si aspetterebbe da un film del genere, che si perde in un’ironia buonista.
Se Gulliver/Swift aveva deciso di guardare dall’alto la società del suo tempo con la giusta dose di fantasia, scegliendosi una posizione a lui più comoda. Payne invece ci riesce difficile capire, con gli occhi di Paul, da che punto ha deciso di guardare il mondo dopo aver vissuto due vite (im)possibili a confronto.
Valentina Esposito
Voto: 3/5