Un albero cresce a Brooklyn, lo struggente esordio di Elia Kazan.
Quando si pensa ai film di Natale è inevitabile finire a parlare di Frank Capra. Ma di Elia Kazan? Di Elia Kazan no. Eppure Un albero cresce a Brooklyn, suo esordio al lungometraggio, ruota materialmente e metaforicamente proprio attorno a un abete addobbato – che però non coincide con l’albero del titolo.
Giusto un anno prima de La vita è meravigliosa il regista di Fronte del porto debutta a Hollywood adattando una storia di Betty Smith. E ha già le unghie affilate, pronte per affondare nella carne degli spettatori e della Stella di Tennessee Williams.
Qui però è tutto (ancora) diverso: i problemi hanno radici ben salde nella terra. L’America primonovecentesca dei bassifondi, degli immigrati, della miseria. La piccola Francie (Peggy Ann Garner) vive con la madre (Dorothy McGuire) e il fratellino in una casa a Brooklyn dove di tanto in tanto s’affaccia il padre Johnny (James Dunn) disoccupato e alcolizzato.
Radici nel cemento
Mamma Katie è la formica, papà Johnny la cicala. E anche se non si vive di solo canto la bionda Francie, che scrive poesie per la scuola e sogna di diventare una scrittrice, considera irrinunciabile il frinire del suo scapestrato genitore. In che modo? Ce lo racconta Kazan: scena dopo scena, Un albero cresce a Brooklyn srotola il filo di una storia d’amore filiale unica nel suo genere.
Amore che supera gli errori, chiude gli occhi sulle debolezze oppure le contrasta. Amore che spiega la natura dei sogni, incrollabili e spontanei come il fiorire di un albero o i cinguettii di un passerotto in mezzo al cemento metropolitano. Piccole gioie che troveranno la via e la forza di farsi avanti comunque, proprio come la piccola Francie.
Familiarità e lacrime
Se vi suona familiare con ogni probabilità è perché avete visto Saving Mr. Banks e un’altra sfilza di film che allo script elaborato da Tess Slesinger e Frank Davis si sono ispirati come a un archetipo. In fondo lo stesso cult di Frank Capra sembra dire una storia simile attraverso occhi, personaggi, prospettive differenti.
Ma a Brooklyn il Natale non ha lieto fine, solo un modo per andare avanti. Il Natale secondo Elia Kazan è una felicità giocata a sorte, che compensa i vuoti della fame e delle lacrime – siete avvisati: guardando questo film ne verserete molte. Gioia e dolore sono indivisibili, avrebbe detto Ovidio.
Sta tutto qui il dono fatto al cinema da Un albero cresce a Brooklyn. Sta (e resta) nel campo sullo sguardo di papà Johnny mentre sua figlia parla prima di dormire. Sta nel pianto liberatorio di quella stessa figlia, cresciuta per forza di cose troppo in fretta. Sta nei sorrisi che vengono dopo e nonostante ogni mancanza, nel perfetto equilibrio fra detto e non detto.
Francesca Fichera
Voto: 5/5
L’ha ribloggato su Il salotto di Ceci Simoe ha commentato:
Settima Arte #waitingforChristmas
Un albero cresce a Brooklyn, lo struggente esordio di Elia Kazan.
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L’ha ribloggato su La finestra di Hoppere ha commentato:
Un albero cresce a Brooklyn – Una recensione
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