Homeland 6 - CineFatti

Homeland: il cambio di scena della sesta stagione

 Il cammino di Homeland fra passato e futuro.

È possibile continuare a brillare e suscitare interesse, una stagione dopo l’altra, malgrado la concorrenza di numerose novità in  streaming e alla TV?

Risposta affermativa se, come nel caso di Homeland, racconti l’attualità spesso anticipandola e sopravvivi persino alla morte di uno dei personaggi principali (Nicholas Brody/Damian Lewis, sergente dei marine imprigionato per otto anni da Al-Qaida e nella terza stagione impiccato nella pubblica piazza a Teheran).

E se soprattutto puoi contare su un’interprete magnetica come Claire Danes. Una che agli esordi, in Romeo + Giulietta di Baz Luhrmann, non si è lasciata intimidire neppure dalla presenza ingombrante di Leonardo DiCaprio (L’unica, durante il provino – rivelò in un’intervista il regista australiano – che riuscisse a guardare Leo dritto negli occhi).

La ragazza, all’epoca sedicenne e alle spalle il ruolo principale nel teen drama My So-Called Life, aveva carattere. Così come carattere e personalità ha da vendere la sua Carrie Mathison, il personaggio cucitole addosso da Howard Gordon e Alex Gansa in sei stagioni di Homeland, la serie del network americano Showtime tratta dalla israeliana Prisoners of War di Gideon Raff

Il terrore fuori e dentro

Carrie è un agente della CIA che combatte il terrorismo e i suoi demoni interiori. In sei rutilanti stagioni affronta e sventa a muso duro attacchi terroristici, svela cellule dormienti e si innamora dell’uomo su cui dovrebbe indagare, un marine (Brody) che durante la prigionia in Iraq, convertitosi all’Islam, potrebbe aver sposato la causa jihadista.

Tutto questo tenendo nascosti ai suoi superiori – e soprattutto al suo capo e mentore Saul Berenson (Mandy Patinkin) – i disturbi bipolari da cui è affetta.

Un personaggio complesso e scomodo, pieno di imperfezioni, che vive e respira di tutte le sfaccettature che Danes (pluripremiata con Emmy e Golden Globes per questo ruolo) riesce a dipingere. La sua Carrie si butta a capofitto nelle situazioni più rischiose, spesso sbaglia, usa gli altri per i suoi scopi: lo stesso Brody nella prima stagione, un giovane pakistano studente di medicina nella quarta. Ma sempre a fin di bene.

La donna che vive due volte

Carrie è una donna tanto sicura, intuitiva e persuasiva nel lavoro quanto tormentata nella sfera privata. Una donna determinata con un ruolo di comando in un mondo di matrice maschile e maschilista, che sparge femminilità ma non certo per il modo provocante di vestire.

A differenza di tante figurine femminili di plastica cui siamo abituati, di quelle che irrompono in piena notte sulla scena del crimine in tacchi e trucco perfetto, Carrie si muove esile e nervosa in completi pantalone, scarpe comode e con l’unico vezzo del biondo dei capelli.

È proprio questo suo lato energico, ostinato, l’arma con cui si fa largo negli intrighi di palazzo (la Casa Bianca, le guerre intestine tra FBI e CIA) e con cui cerca di proteggere la sua patria dalle minacce del terrorismo.

Almeno fino alla quinta stagione, perché a partire dalla sesta – in programmazione in Italia sul canale satellitare Fox – lo show ha una virata ( o così sembra).

Giro di boa

Nell’anno di Donald Trump al 1600 di Pennsylvania Avenue, Homeland ci propone una donna comandante in capo (come già in 24, sempre di Gordon e Gansa), la presidente eletta Elizabeth Keane, che deve vedersela con i vertici interventisti della CIA e i macchinosi piani di Dar Adal (F. Murray Abraham) e Saul Berenson.

Carrie ha lasciato l’Agenzia: è fuori dai giochi. La vediamo muoversi senza fretta per le vie di New York, accompagnare a scuola la figlioletta Frannie. Lontana dagli intrighi politici di Washington, sta provando a  ricostruirsi una moralità lavorando per una fondazione che difende pro bono i diritti dei più deboli, musulmani inclusi.

Come Sekou Bah, un giovane studente che attraverso i suoi video su internet denuncia il modo in cui sono trattati i musulmani negli Stati Uniti. Accusato di amicizie con i terroristi, il giovane viene arrestato dall’FBI. È proprio da questo evento che si snoda il racconto della sesta stagione.

Ancora una volta con al centro la minaccia del terrorismo islamico, grande protagonista di una serie nata nel 2011 in seguito alla grande paura post 11 Settembre e capace di anticipare molti degli accadimenti degli ultimi anni.

La sesta è di Peter

Sono temi sviscerati con perizia e grande senso del ritmo, attenzione ai dettagli e una puntuale direzione del cast, Claire Danes in testa ma senza escludere Rupert Friend, alias Peter Quinn, anima di una storyline secondaria che finisce per rubare la scena alla principale.

È l’ex braccio armato della CIA l’anima tormentata di questi nuovi episodi. Sopravvissuto a un attacco di gas nervino e salvo solo grazie alla pervicacia di Carrie (sei come un cane con l’osso, l’apostrofa un collega) Peter è vivo ma non è più lo stesso.

Duramente ferito nel corpo e nella mente, è un po’ come la Carrie della prima stagione: deve tenere a bada le sue paranoie, la rabbia e lo sconforto. Si lascia vivere nel seminterrato di Carrie, impotente di fronte alla nuova piega che ha preso la sua vita.

Così come impotenti e vulnerabili, di fronte agli scenari dipinti dagli autori, rimangono gli spettatori, carezzati dall’idea che la realtà finisca ancora una volta per superare la fiction.

Francesca Paciulli

3 pensieri su “Homeland: il cambio di scena della sesta stagione

  1. Ho un po’ perso di vista la serie alla terza stagione, ma mi riprometto sempre di tornare a spararmela tutta d’un fiato ;-)
    All’epoca della prima stagione mi sono visto coi sottotitoli anche l’originale israeliano, serie molto intensa ma con poco “thriller”: credo sia uno dei rarissimi casi di remake americano migliore dell’originale :-D

    "Mi piace"

    1. Ne vale sicuramente la pena. L’inizio della terza stagione sembra un po’ ripetitivo, ma bastano un paio di episodi per recuperare ritmo e restare “incollati” allo schermo e alle vicende personali e professionali di Carrie.
      Per non parlare di quell’epilogo inatteso e travolgente.

      Piace a 1 persona

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