L’avventura di Fabio & Fabio nel campo minato del cinema.
Un soldato bloccato nel deserto con il piede su una mina innescata; il produttore americano Peter Safran non ha esitato a finanziare il progetto esplosivo di Fabio Guaglione e Fabio Resinaro alla loro opera prima per il grande schermo, fiducioso nel successo di un film di guerra innovativo e a basso budget. Forse non immaginava però che Mine non è un film di guerra.
È stato questo il punto di partenza del dibattito con Fabio e Fabio durante la Masterclass del Giffoni Film Festival. Mentre il pubblico cercava ancora di dominare l’effetto tachicardia provocato dalla visione del film, i due registi hanno parlato del loro percorso, di campi minati e rigenerazione, con la stessa vivace leggerezza che devono aver condiviso tra i banchi di scuola, quando hanno cominciato a girare i primi cortometraggi.
La scelta del soggetto di Mine, dicono i due Fabio, rappresenta una metafora intensa della loro carriera, definita simbolicamente “un lungo viaggio durato 17 anni”. Come il protagonista, anche loro erano rimasti inchiodati al suolo, genuflessi su una mina pronta a esplodere e impossibilitati a compiere il passo successivo. In questo senso Mine nasce dal tentativo di muoversi nel campo minato della cinematografia.
Una mina di Schrödinger
Il cinema di genere viene usato come “cavallo di Troia” che contiene i veri soldati della battaglia artistica dei due Fabio: storie umane, di conflitti interiori e di trasformazione “alchemica”. La mina, che i registi definiscono in modo originale “mina di Schrödinger”, non c’è, così come non c’è il motivo bellico. Nonostante il film sia stato pubblicizzato come un film di guerra, si tratta in realtà della guerra interiore di un soldato e della destrutturazione di un uomo.
“Non vogliamo fare un film politico”, afferma Guaglione. “La condizione non è mai politica ma sociologica”.
Per quanto riguarda l’influenza dei produttori sulle scelte narrative dell’opera, i registi fanno riferimento a un lungo confronto avuto in fase di montaggio e a qualche divergenza sul finale che però è stato difeso strenuamente e girato secondo la volontà degli autori, perché altrimenti l’intero film “non avrebbe avuto senso”. Problematica quasi inedita per dei registi italiani è stata la questione del doppiaggio, “processo dolorosissimo”. Fabio e Fabio hanno infatti seguito e curato personalmente la traduzione in inglese della sceneggiatura e il successivo adattamento per il doppiaggio in italiano.
Sofia Santosuosso
Per l’immagine di copertina si ringrazia www.armiehammerfans.com