Nei saloon di Westworld il passato suona ogni giorno
Lo abbiamo detto e lo ripetiamo: se Westworld fa un certo effetto è anche grazie alla sua musica. Una colonna sonora che spazia dall’originalità alla rilettura, dalla cover al tema originale. L’autore? Non uno sprovveduto, si direbbe: a Ramin Djawadi dobbiamo cose come l’epica introduzione de Il trono di spade o le fomentanti schitarrate di Pacific Rim. Ma, diciamolo, sotto l’egida di J. J. Abrams si è ampiamente superato. Fin dalle prime battute.
“Paint it black”
Ritrovare i Rolling Stones in veste sinfonica già al primo episodio ha quasi del miracoloso. Specialmente – e chi ci segue lo sa – per i fan di Stephen King e della Torre Nera. Poche scene e le anime del western e del rock’n’roll sono pronte a fondersi in un miscuglio esplosivo.
Ed ecco il gancio, fra i tanti che ci legano a Westworld. Un altro sta nel piano meccanico che ravviva l’atmosfera del bordello di Maeve. Un personaggio come gli altri, per quanto secondario e fatto di legno. Perché è tramite lui che risuona gran parte della colonna musicale; squisitamente diegetica, interna al racconto. E la rilettura di Black Hole Sun dei Soundgarden non è che una delle tante testimonianze.
Dai Radiohead all’originalità
Ma a fare compagnia a Mick Jagger e soci sono in tanti, da Amy Winehouse agli Animals, dai NIN* ai Radiohead. Soprattutto loro. Dopo No Surprises e un’intensa versione di Fake Plastic Trees, tocca ancora una volta a Exit Music il tragico compito di commentare l’uscita di scena conclusiva (Black Mirror vi dice niente?)
La farina nel sacco, però, riesce a essere di Djawadi anche dal punto di vista strettamente compositivo, come provano le ripetizioni sparse della traccia del tema principale e, ovviamente, le sue autonome rielaborazioni.
These Violent Delights Have Violent Ends, oltre a svolgere il ruolo di tag-line per eccellenza, dà il nome a una fra le melodie di Westworld che con ogni probabilità si ricordano di più. Piano, archi e percussioni, ritmo solenne ed eco fatale, e il motivetto penetra nelle tempie, imprimendo nella memoria gli stessi solchi che la pianola lascia sul suo rullo.
Come vedete, tutto torna (e se non torna, c’è Spotify).
*L’esecuzione dell’efficace rifacimento di Something I Can Never Have dei NIN è invece merito del Vitamin String Quartet.