Zootropolis, dove prede e predatori convivono in pace.
Se Zootropolis (Zootopia) fosse stato girato nei primi anni Novanta le antenne radio avrebbero captato gli sbuffi di disegnatori e animatori al lavoro negli studi della Disney. L’ennesimo film con animali parlanti, un’opinione che per diverso tempo accompagnò la produzione de Il Re Leone.
Cambiò presto la sensazione e come tutti sappiamo la storia di Simba aprì in due il botteghino. Con questo precedente alle spalle la notizia che Byron Howard (Rapunzel) e Rich Moore (Ralph Spaccatutto) avrebbero girato il solito film con animali parlanti non deve essere stata difficile da mandar giù.
A 6 mesi dalla sua uscita si saranno già tutti ubriacati per festeggiare il miliardo di dollari di incassi e noi in merito possiamo solo dire: bravi a tutti, ve lo siete guadagnati! Zootropolis pur incorporando i classici temi disneyani fa un ulteriore passo in più che dimostra la lungimiranza della guida di John Lasseter.
La difficile utopia di una società inclusiva
Judy Hopps è una coniglia col sogno di diventar poliziotta, la prima della sua specie nell’utopia – da cui il titolo originale Zootopia – in cui prede e predatori vivono uniti in armonia. Difficoltà insormontabili come gli ostacoli da superare all’accademia durante l’addestramento, ma è un film Disney: ci riuscirà.
Nick è invece una volpe, stereotipo incarnato di tutto ciò che la sua razza rappresenta: truffaldino, furbo, privo di ogni forma di empatia. Proprio lui, acerrimo nemico dei conigli, sarà costretto a dare una zampa all’agente Hopps nel caso di un mammifero scomparso, una lontra di mezza età.
Il caso si allargherà anche alla sparizione di altri 14 mammiferi svaniti nel nulla, una storia che quatta quatta arriverà a parlare in maniera assai aperta dei pericoli del razzismo, sia quello espresso apertamente che il suo opposto. Potremmo definire Zootropolis l’Indovina chi viene a cena? della nostra generazione.
La lotta contro il pregiudizio può essere difficile, soprattutto se nemmeno noi stessi sappiamo riconoscerlo allo specchio e Zootropolis affronta il tema con una semplicità disarmante, dipingendo un’America divisa dalla paura dell’altro da sé: minoranze etniche e religiose prese di mira quotidianamente negli USA odierni.
Un nuovo genere per la Disney
Il messaggio di Zootropolis può però valere per il mondo intero e il modo in cui è veicolato è l’aspetto centrale. Protagonisti ambigui, scene dai toni abbastanza drammatici nonché la scelta del genere, il thriller, qualcosa a cui la Disney animata non tornava dai tempi dell’adorabile Basil L’investigatopo.
È incalzante, coinvolgente, Moore e Howard spingono lo spettatore a seguire le evoluzioni degli eventi senza distrarlo con la solita sottotrama sentimentale. Siamo invitati a cercare il colpevole delle sparizioni insieme ai nostri due ben caratterizzati protagonisti (Ginnifer Goodwin e Jason Bateman).
Una novità piacevole che differisce dalle precedenti adottate come l’ambientazione inusuale di Ralph o la presunta maggior attenzione ai personaggi femminili di Frozen. Zootropolis amplia la gamma di generi a portata della Disney senza preoccuparsi di invadere il territorio Pixar (sempre di sua proprietà).
Fausto Vernazzani
Un pensiero su “Zootropolis (Byron Howard, Rich Moore, 2016)”