Ralph Spaccatutto (Rich Moore, 2012)

di Fausto Vernazzani.

I tempi passano, le ere scorrono e nessuno ci fa caso, ogni singolo individuo su questo pianeta si confronta solo con ciò che vede, lasciando gli ingranaggi dove non saranno né visti né calcolati. È semplice definire Ralph Spaccatutto un film della Walt Disney Pictures, ma in casa di Bob Iger ci sono stati dei cambiamenti e con l’acquisizione della Pixar Animation Studios. Così fu che John Lasseter divenne il Direttore dell’Ufficio Creativo sia alla Pixar che alla Disney, prendendo controllo dei progetti e gestendo il pitching sia per una che per l’altra azienda: il risultato è un occhio vivace proiettato verso un cinema d’animazione che abbia non solo un presente, ma soprattutto un futuro.

Felix Aggiustatutto è un videogame da sala giochi che consiste nel riparare il palazzo assalito dal demolitore Ralph. A proteggere gli inquilini è Felix, un ometto dal martello magico, amato da tutti perché sempre loro salvatore, al contrario del massiccio Ralph, scaraventato gioco dopo gioco in una pozza di fango e costretto a dormire nell’adiacente discarica. Fare il cattivo può essere snervante, odiato tutti i giorni, anche dopo il “lavoro” è quanto di più frustrante ci sia, ed ecco perché, dopo aver seguito per la prima volta il gruppo di terapia per Cattivi, decide di abbandonare il suo gioco per guadagnarsi la medaglia che gli aprirà le porte dell’amicizia. Diretto dall’esordiente Rich Moore, noto regista di svariati episodi de I Simpson, Ralph Spaccatutto è l’opera nerd per eccellenza: Pac Man gestisce il gruppo di terapia, Sonic dà indicazioni in Game Central, Yoshi zompetta qua e là e Zangief dà consigli di vita a Ralph.

Ralph Spaccatutto

Ambientato in quattro diversi luoghi (Game Central, Hero’s Duty, Sugarland e Felix Aggiustatutto), il debutto di Moore si staglia subito come il possibile rinnovatore del cinema d’animazione Made in Disney: spigliato, frenetico, colorato e dal target più ampio del solito. Abbandonato lo stile à la Broadway tipico dei prodotti degli anni passati, le canzoni cedono il passo a temi interessanti per grandi e piccini, riferendosi in particolare a quella generazione cresciuta coi primi joystick della storia. Visione più ampia, apprezzamento più vasto, un interessante studio su come proseguire nella saga (pensavate si sarebbero fermati qui?) già in pre-produzione col sequel entro cui vedremo Super Mario interagire con i tanti personaggi di quest’ottimo ritorno alla qualità a tutto tondo per la Disney, da troppo tempo in caduta libera verso l’infamia.

Non solo un film divertente capace d’intrattenere con le ottime scelte tanto registiche quanto grafiche (elemento chiave), ma anche la dimostrazione di un’apertura verso nuove possibilità: basti pensare, oltre alla (semi)nuova impostazione, alla scelta di affidare la canzone di chiusura al celebre gruppo di idol giapponesi AKB48 (Sugar Rush), e di spruzzare la magia delle citazioni capaci di rendere il film interattivo come un videogame, caratteristica prima appartenuta solo alla Pixar. A dar più pepe al tutto è l’ottimo doppiaggio, non solo originale, ma anche italiano, perfetti sono infatti Massimo Rossi/John C. Reilly (Ralph) e Gaia Bolognesi/Sarah Silverman (Vanellope), ma anche i comprimari Fabrizio Vidale/Alan Tudyk (Re Candito), Cristiana Lionello/Jane Lynch (Sgt. Tamora) e Daniele Giuliani/Jack McBrayer. Ma la vera chicca, lasciato come ultimo boccone per questa bella sorpresa Made in Burbank, è la sceneggiatura di Jennifer Lee e Phil Johnston, mai banale nelle gag e mai stupida.

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