El abrazo de la serpiente - CineFatti

El abrazo de la serpiente (Ciro Guerra, 2015)

El abrazo de la serpiente: (una) storia vera.

No me es posible saber en este momento, querido lector, si ya la infinita selva ha iniciado en mí el proceso que ha llevado a tantos otros que hasta aquí se han aventurado, a la locura total e irremediable. Si es ese el caso, sólo me queda disculparme y pedir tu comprensión, ya que el despliegue que presencié durante esas encantadas horas fue tal que me parece imposible describirlo en un lenguaje que haga entender a otros su belleza y esplendor; sólo sé que, como todos para los que se ha descorrido el tupido velo que los cegaba, cuando regresé a mis sentidos, ya me había convertido en otro hombre.

Theodor Koch-Grünberg

 

L’’Amazzonia dei canali, delle colonie e delle tribù indigene ci è stata sempre raccontata dal punto di vista degli esploratori o dei missionari. Ne El abrazo de la serpiente è raccontata dal punto di vista degli indigeni, attraversata dai bianchi a bordo di una smilza pagoda alla ricerca della yakruna, l’ultima e più potente delle piante sacre degli Indios.

Il film di Ciro Guerra è la cronaca che attinge al documentario di due diverse spedizioni nella selva oscura latino-americana, al seguito di due spedizioni diverse realmente avvenute ed unite da significanze ancestrali. Nella prima il protagonista è l’esploratore Theodor Koch-Grünberg ai primi del Novecento, che si reca col compagno indigeno Manduca sulle rive dell’’entroterra, dove gli appare Karamakate, giovane sciamano solitario scappato alle violenze colonialiste e rifugiatosi nel cuore inesplorato dell’’Amazzonia; la seconda avviene a distanza di quaranta di anni con l’allievo Richard Evans Schultes, il precursore dell’’etnobotanica e di nuovo Karamakate – anziano sciamano immerso nell’’oblio di dimenticanza della precedente esplorazione. La narrazione è così  circolare e segue il corso delle reminiscenze dell’’Indios delle diverse rive che il fiume offre ai naviganti.

 

Da un’’idea dell’antropologo Ignacio Prieto e basata sui diari degli esploratori Koch-Grunberg e Richard Evans Schultes risalenti all’inizio del XX secolo, il film è stata una moderna impresa alla Fitzcarraldo, con tre anni di lavoro sulle sceneggiature e due mesi di riprese nell’’Amazzonia tra Colombia e Perù, soltanto dopo aver ottenuto il permesso delle comunità indigene (un’’impresa affascinante, come racconta il regista nelle interviste, da cui potrebbe nascere un libro sulla realizzazione del film come fu appunto già per le riprese ammazzoniche di Herzog, con La conquista dell’’inutile).

Il risultato ripaga ogni sforzo, e questo film indipendente ha raccolto premi e ovazioni in tutto il mondo ma soprattutto il ringraziamento delle tribù indigene per aver raccontato la verità della loro storia. Che è arrivata fino ad Hollywood, perché  attraverso la ricerca onirica della pianta divinatoria racconta gli esiti materiali della scoperta del caucciù, la sua estrazione e il massacro della vegetazione e delle popolazioni locali così come l’evangelizzazione violenta di un continente, a cui ha corrisposto un pari e opposto movimento degli indigeni sempre più dentro la foresta per preservare le loro tradizioni.

Ma quali sono i motivi reconditi della fascinazione estrema che El abrazo de la serpiente film ha liberato nel pubblico internazionale? Lo spiega forse definitivamente Ciro Guerra in una intervista:

La cosmogonia e il senso del Sacro di certe comunità indigene del mio paese non affascinano solo il pubblico colombiano ma tutte quelle persone che, come me, non riescono a identificarsi in un mondo fondato esclusivamente sul materialismo, e devono per forza alimentarsi di storie e situazioni che peschino dall’’irrazionale, dallo spirituale. Sento che molta gente sta cercando di ritornare a questa spiritualità, e forse questo ha reso El abrazo de la serpiente un film di così grande successo, capace di parlare a tanta gente così diversa.

Il regista colombiano è qui mosso dall’’afflato di un Rossellini spintosi – invece che nell’’Italia massacrata della guerra – nella foresta ammazonica carica di presagi e orrori dell’’Aguirre di Herzog, uno spazio trasfigurato grazie alla sontuosa fotografia in bianco e nero, in cui muoversi affannosamente alla ricerca di un senso diverso e antico per tornare naviganti da naufraghi del contemporaneo, chiedendo aiuto al passato massacrato del pianeta selvaggio.

El abrazo de la serpiente è un manifesto antimodernista realizzato con la materia stessa dei sogni, un’opera memorabile e un monumento contro la dimenticanza.

Luca Buonaguidi

Voto: 5/5

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