Where to Invade Next, un mediocre e inutile ritorno per Michael Moore – di Victor Musetti.
Sei anni dopo Capitalism: A Love Story, torna Michael Moore con un improbabile e innocuo film sugli Stati Uniti. Questa volta però nel mirino del regista americano non c’è un bersaglio preciso o un argomento in particolare. Where to Invade Next è semplicemente una grande giostra costruita ad arte per prendere per i fondelli il paese a stelle e strisce e dimostrare al mondo intero quanto sia culturalmente, socialmente e politicamente un paese retrogrado e medievale.
Il gioco di Michael Moore in Where to Invade Next consiste nel recarsi in vari paesi stranieri, d’Europa e non, per imparare alcuni aspetti legislativi o sociali particolarmente interessanti da poter essere importati negli Stati Uniti. Veniamo quindi a conoscenza del fatto che l’Italia è il miglior posto in cui lavorare al mondo, poiché i padroni danno un sacco di vacanze ai propri dipendenti e sono felicissimi di farlo. Scopriamo che in Norvegia anche un detenuto terribile come Breivik ha diritto ad un trattamento umano (poiché la legge non prevede pene superiori ai 21 anni) e che, nonostante questo, il paese abbia uno dei tassi di omicidi più bassi al mondo e così via dicendo.
Tralasciando gli spot promozionali gratuiti (o forse no) a grandi aziende come la Ducati o la Faber Castell, aspetti che comunque rivelano un Moore decisamente meno anti-sistema di quello che vorrebbe far credere, il film scorre con lo stile di sempre. Montaggio ad effetto, musiche, spezzoni di film, ampio uso di immagini di repertorio (specialmente nei momenti in cui si vogliono mostrare gli orrori compiuti dalla polizia americana) e il solito Moore che recita la parte del finto americano medio scettico e ignorante.
Proprio questo stile leggero, che nei film precedenti aiutava a trattare di argomenti drammatici o semplicemente molto complessi in modo accessibile a tutti, fa sì però che l’approccio alle questioni (molte delle quali estremamente leggere e relativamente rilevanti) sia di una superficialità assoluta. Il film non scopre niente, non indaga su niente, non è scomodo, non morde e non dice niente che possa destabilizzare davvero i suoi spettatori.
Where to Invade Next purtroppo rivela in maniera impietosa un metodo giornalistico estremamente pretenzioso e decisamente poco accurato. È il fatto di voler dimostrare a tutti i costi la propria idea di partenza rifiutando a priori un’analisi approfondita di qualsiasi tipo. La verità è, di fatto, sempre parziale. Non si analizzano mai più punti di vista. Non si prende mai in considerazione il fatto che le questioni di cui si parla in modo così positivo possano invece avere dei risvolti negativi.
Michael Moore mostra sempre e solo ciò che vuole far vedere, riducendo il suo lavoro di documentarista d’inchiesta a quello di un conduttore qualsiasi di un qualche programma scadente su una televisione via cavo. La sua è più una sorta di rubrica di curiosità sul mondo. Un collage di vari aspetti delle società del mondo che possono risultare interessanti (come anche il contrario). Ma quello che manca davvero è il motivo di portare al cinema un film di questo tipo, se non quello del mero e semplice intrattenimento. Ed è di certo ancora più dubbio l’effettivo interesse che questo film dovrebbe avere per il pubblico italiano, o per quello di qualsiasi altro paese che non siano gli Stati Uniti. Quello di Michael Moore è un lavoro che di cinema non ha niente e che, visto il livello di certe produzioni televisive in ambito documentaristico (basti pensare a prodotti come The Jinx o Making a Murderer) risulterebbe scadente anche in televisione.