Les amours imaginaires: la recensione di Elvira Del Guercio.
Nel disincanto esistenziale di due giovani canadesi appena ventenni, Francis e Marie, si palesa con le vesti di un bellissimo, affascinante, ambiguo e provocatorio corpo michelangiolesco: Nicolas e la sua angelica presenza sconvolge le loro placide vite. Con un surreale sincretismo di generi musicali, da Beethoven agli Indochine, Xavier Dolan plasma il tipico o atipico ménage à trois, in un dramma psichedelico e dagli esiti dolce-amari.
Nominato nella sezione Un Certain Regard nel 2010, Les amours imaginaires rappresenta forse la goffa tenerezza di chi non è mai stato amato e deve improvvisare di fronte alla destabilizzante essenza dellaltro; è lo stesso Dolan ad interpretare il giovane Francis, nella sua evidente disarmonia tra limpeccabilità che mostra nel quotidiano e la profonda incertezza che si manifesta nel dover dare conto dei propri sentimenti.
Dal canto suo la leziosa Marie, interpretata dal conturbante volto dellattrice canadese di origini tunisine Monia Chokri, si dimostra perfettamente in grado di gestire la tempesta emotiva che ha cominciato ad imperversare allarrivo di Nicolas.
Nicolas ha le fattezze del David di Michelangelo o dellApollo del Belvedere mostrando la sua kalocagathia fin dal primo incontro dei tre; la sua avvenenza e la sua nobiltà danimo, la sua passione per le arti e per la letteratura e la sua ansia di vita fanno si che Francis e Marie risultino completamente assuefatti dallo spirito libero di questo giovane così controcorrente tanto da mettere in discussione perfino la loro decennale e fraterna amicizia. Tuttavia, la metamorfosi che la realtà avrà subito dal loro punto di vista sarà davvero incontrovertibile e deludente
Nel film di Dolan il colore ha unimportanza fondamentale. In Les amours imaginaires vi è un particolare gusto per i toni sgargianti e, in particolar modo, per il rosso e il blu che si coglie in due precisi estratti della pellicola; entrambe le scene sono raccolte nellintimità dellinterno di una camera da letto e la macchina da presa scorre dolcemente sulle sinuosità dei corpi dei protagonisti della scena, lasciando trapelare una sensualità candida e mai esplicita accompagnata dalla tagliente musicalità della Suite in no. 6 di Bach.
È proprio questa tendenza a soffermarsi sulle peculiarità degli sguardi e sui momenti di una calda o fredda distensione emotiva e corporea che rende queste due scene del film essenziali, quasi ci trovassimo dinanzi a marmi che si risvegliano dal loro torpore per entrare nel vortice del divenire.
Con Les amours imaginaires, Dolan si affaccia alla vita con uno sguardo oltre tempo, portando lo spettatore, ormai divenuto ubriaco del continuo spendere dei fotogrammi e scene nel loro mite susseguirsi, a seguire avidamente il passo in slow motion di Francis e Marie, accompagnato dal calore della voce di Dalida o dalla fresca allegria di Isabelle Pierre, e ad addentrarsi nella realtà dei giovani amici, briosa e malinconica.
Ciò che contraddistingue il cinema del cineasta di Quebec è la sua teatralità intrinseca; assistiamo a soliloqui che dissolvono nel bianco e nel nero o a momenti dove la veemenza delle parole pronunciate dagli attori è talmente forte da risultare alle volte anche disturbante, probabilmente perché ci urlano le nostre stesse velate tribolazioni e ci pongono ad osservare una realtà dolciastra, arida ma nel contempo viva e senza filtro alcuno.