Fuocoammare - CineFatti

Fuocoammare (Gianfranco Rosi, 2016)

Quasi tre anni dopo l’inaspettato Leone d’Oro consegnatogli da Bernardo Bertolucci a Venezia per Sacro GRAGianfranco Rosi è tornato a far parlare di sé per un’altra avventura ai margini, seppur muovendosi questa volta su un terreno già ampiamente esplorato e raccontato da altri: quello di Lampedusa e dei suoi sbarchi di migranti. L’avventura intrapresa nella realizzazione di Fuocoammare, consetitagli da una coproduzione italo-fancese e da un finanziamento del Ministero dei Beni Culturali, lo ha però questa volta costretto a lavorare con più criterio rispetto al passato e con delle scadenze precise, lui che girò in 5 anni il suo primo film Boatman e in 4 il suo capolavoro Below Sea Level.

Vivere Lampedusa

Si è quindi trasferito per più di un anno a Lampedusa, dove ha trascorso il suo tempo tra gli abitanti dell’isola e sulle navi militari in mare aperto, filmando qualsiasi evento e persona che suscitasse la sua curiosità.

Ad opposizione della coralità di Below Sea Level e Sacro Gra, in Fuocoammare Rosi si concentra principalmente su di un personaggio solo, il 12enne Samuele, che come la maggior parte dei suoi concittadini vive un’esistenza modesta e totalmente ignara delle tragedie quotidiane che avvengono a poche miglia dalla costa.

Oltre a lui Rosi filma personaggi sparsi, un conduttore di una trasmissione radiofonica, un misterioso sommozzatore, un medico che lavora a stretto contatto con i migranti, il dr. Pietro Bartolo. Parallelamente filma anche l’arrivo di alcune imbarcazioni, le procedure di identificazione e smistamento delle persone nei centri di accoglienza.

La missione e la visione documentaristica

Sempre silenzioso, invisibile e il più possibile oggettivo sulla realtà che ha intorno a sé, Rosi si mostra molto distante inizialmente nel filmare i migranti, ma è proprio in questo fatto che l’esperienza del film risulta così umana e sincera.

Queste imbarcazioni intercettate in mezzo al nulla, colme di persone fino a strabordare, sono visioni impossibili da raggiungere con la fantasia, sono eventi al di fuori della normalità, nei confronti dei quali è difficile reagire con indifferenza o sicurezza.

E Rosi mostra questo spaesamento iniziale in modo genuino e sincero, giungendo ad un’evoluzione del suo sguardo proprio nel corso del film, fino al punto in cui di fronte ad una tragedia in corso, in diretta, dovrà porsi il dilemma più palese di ogni documentarista: filmare o non filmare? Stare a guardare o unirsi ai soccorsi e provare a dare il proprio aiuto e fare la differenza?

Rosi sa che è venuto a Lampedusa con una missione che va oltre la sua esperienza personale di essere umano. È la missione del documentario, che lui segue come un devoto praticante di una qualche religione.

Plasmare l’istante

La sua messa in scena è come sempre perfetta, seppur meno calcolata che in Sacro GRA, dove c’era il tempo di posizionarsi, di pensare le scene. In Fuocoammare Rosi è obbligato nella maggior parte del tempo ad improvvisare sul momento. E il risultato che riesce a tirare fuori certe volte è qualcosa di incredibile, tanto che viene spesso da porsi la domanda di come sia stato possibile filmare determinate inquadrature.

E poi c’è la storia di Samuele, quella sì raccontata con la solita messa in scena invisibile ma minuziosa, che fa spesso dimenticare di trovarsi di fronte ad un documentario. Perché Rosi ormai dirige come un maestro vero, che non ha bisogno di troupe o di sceneggiature per fare grande cinema.

Il suo sguardo è unico e affascinante, non ha bisogno di mediazioni linguistiche di alcun tipo, è un’esperienza sensoriale diretta, che ha la sua unica manipolazione nell’impeccabile montaggio del fido Jacopo Quadri. E noi non possiamo fare altro che sperare che il suo sguardo rimanga nostro ancora per molto tempo, puntato sul nostro territorio, sulle nostre vite, poiché la sua voce è una delle cose più preziose che abbiamo oggi in Italia.

di Victor Musetti

Voto: 4/5

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