Knight of Cups - CineFatti

Knight of Cups (Terrence Malick, 2015)

Il percorso che Terrence Malick compie durante la realizzazione dei suoi film va sempre nella direzione di un destabilizzante viaggio nell’’ignoto, cosmico o interiore che sia. Presentato alla Berlinale nel febbraio 2015 e in prossima uscita sia negli Stati Uniti che in Italia, Knight of Cups, “cavaliere di coppe”, è un lento e sofferto aggregarsi e disgregarsi di pulsioni, passioni e sentimenti in un atavico vuoto esistenziale. 

Christian Bale diviene forse l’emblema della contraddizione dell’’essere umano, indossando le logore e sfavillanti vesti di uno dei tanti sceneggiatori del panorama hollywoodiano contemporaneo; ciò che sembra tormentare il suo animo è l’’amara consapevolezza dell’assenza di significato nel tutto da cui è circondato, dalle squallide feste al pudico sentimento amoroso.

Rick è dissestato da una dilagante instabilità psico-fisica e, se penso al piano sequenza in cui, in The Three of Life, Jessica Chastain segue un onirico percorso lineare tuttavia in evidente squilibrio, non posso che constatare il senso di mutevolezza e precarietà che Malick intende proprio dell’esistenza. 

Per tale ragione, credo che Malick, attraverso il personaggio di Rick, voglia esprimere un concetto di validità universale, e non la semplice e mera esperienza di crisi di un famoso sceneggiatore cinematografico; senza dubbio, il suo ruolo concorre, per così dire, a sviscerare questioni quali l’’insoddisfazione interiore e il disorientamento nel progresso e nella civiltà.

Scrivere con il corpo

In merito all’’espressione di questo concetto, è particolare ed insolita la sceneggiatura di Knight of Cups, poiché il tutto è girato accompagnato dalle continue voci fuori campo dei personaggi, quasi a sottolineare il contrasto fra anima e corpo che vige in ognuno di noi.

Il corpo, la carnalità e la fisicità dirompenti nel corso del film sono apparenze transitorie, mentre  la parte di noi più viva, quella latente e oscurata dalla nostra presenza concreta, è l’’anima: le parole dell’anima, in questo film, sono la drammatica colonna sonora di un’’irreversibile e profondo percorso di non-ritorno.

Malick non scade mai nella banalità per dare corpo a simili sensazioni, attraverso un’attenta ricerca spirituale che credo sia l’elemento caratterizzante di tutta la sua poetica, tra monumentali campi lunghi e un susseguirsi di immagini in perfetto e frenetico stile GoPro.

Di fondamentale importanza è l’’efficacissimo uso della fotografia, tra la luce naturale di tramonti e albe e l’alternanza delle sfumature dei toni freddi, i cui colori sono in perfetta armonia con la condizione psicologica del protagonista e il significato del film. 

Storia universale di una rinascita

Malick seduce irrimediabilmente lo sguardo dello spettatore, attraverso scene di un surrealismo paradossalmente reale e momenti di rottura del tempo cronologico per mostrare l’’apocalittico scenario di distruzione e rinascita cosmica: come avviene in Tree of Life, dove vengono mostrate scene di una stasi spettacolare con esplosioni planetarie negli infiniti spazi dell’universo, citando senza dubbio l’unica e sola Odissea cinematografica.

È un cineasta visionario, eternamente nuovo e sorprendente, le cui scelte sono dettate da un’’acuta consapevolezza della vita.  Il suo Knight of Cups dimostra la medesima intensità in particolari probabilmente marginali come, ad esempio, la persistente presenza delle figure femminili nella vita di Rick; non mi sono potuta non domandare il significato di questo esserci così assiduo e, a tratti, disturbante e pervadente in tutte le sue nudità e materialità.

Le donne, (tra le cui spiccano per  una chiarezza espressiva senza pari Cate Blanchett e la fulgida Natalie Portman, che recita appena dieci minuti) sono la manifestazione, da parte di Rick,  di un voler continuare ad esistere, nel senso, tuttavia, di un possesso fisico e spirituale da cui esse sono perennemente attanagliate; non si capisce se Rick sia o non sia consapevole della propria esistenza, e la donna e, quindi, l’’amore verso un altro essere umano cui si è completamente simili, sono il significato della sua vita, anche se fugace e mutevole. 

Il divenire dell’anima

Nel caos di una società corrotta e consumistica l’animo di Rick è continuamente pervaso da un desiderio di purezza e semplicità che egli ritrova nell’acqua e nella spiaggia che vediamo quasi sempre comparire nel film; forse che il mare, nel suo essere così chiaro e rifulgente di un’’ovvia trasparenza, sia la metafora di un inconsapevole ritorno ad uno stato primitivo?

Non a caso Rick vi ci porta se stesso e la maggior parte delle sue donne che, in qualche modo, rappresentano una parte di lui, ed è proprio il mare ad attirare quei corpi ignari per indurli a spogliarsi della veste terrestre, per bagnarsi e mostrarsi in una comune spiritualità. Così sembriamo essere tutti dei cavalieri di coppe, in un percorso in perpetuo divenire e da cui traiamo un senso grazie all’ispirazione che viene dal  nostro recondito abisso interiore.

di Elvira del Guercio

Voto: 4/5

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