Tutti giù per terra

Tutti giù per terra (Davide Ferrario, 1997)

Tutti giù per terra assieme a Walter.

Torino. 13 ottobre 1996, ore 14.45. Eclissi di Sole. Il mondo si ferma. Ore 16.55. Il mondo ha ricominciato a girare. Che palle!

Si sbaglia di un giorno Walter (Valerio Mastandrea): in Italia l’eclissi fu visibile il 12, ma la sua considerazione non fa una grinza. Con quest’incipit, tra il mesto e il menefreghista, si apre Tutti giù per terra, trasposizione cinematografica del romanzo omonimo di Giuseppe Culicchia.

Un film – e un libro – generazionale che a guardarlo oggi un po’ intenerisce. Perché poco e niente è cambiato da quel principio di anni ’90. Di certo non quel senso di straniamento che ti assale sui mezzi pubblici di fronte alla sequela di teste che meccanicamente si abbassano sui telefonini, neanche fossimo in un romanzo horror di Ira Levin.

Ma chi è Walter?

Uno studente fuoricorso di filosofia, disoccupato, vergine, con pochi amici e ancora meno  interessi. Non sembra avere ideali, tanto meno ambizioni di carriera, anzi li rifugge entrambi. E suo padre non perde occasione per farglielo notare – “Te non è che non riesci ad essere normale e che non lo vuoi essere!”.

La verità è che a Walter interessano poche cose. Pensa di essere al centro di un complotto. Si sente libero, o meglio, vuole sentirsi libero – “Che poi significa non avere niente da fare”. Mica come quei commessi che, stritolati dal sistema, per 400 euro al mese si dannano l’anima.

Molto meglio girare senza meta per Torino, e perdersi nei libri dove “tutto è chiaro e bello anche quando è brutto. Dove trovi tutte le risposte. Anche se poi tutto è falsato. Con le donne, ad esempio, dove nei libri basta uno sguardo e sarà per sempre”.

La realtà è ben diversa. E squallida. Anche quando è immersa in un’aurea di filantropia. Ad esempio al centro di assistenza per extracomunitari, dove Walter svolge il servizio civile. Il suo capo, per aiutare la campagna elettorale del politico di turno, lo spedisce in un campo nomadi a fare proseliti per un programma di inclusione sociale. Gli esiti sono esilaranti, con Walter e il capo comunità impegnati in un dialogo surreale.

Viva la normalità

Si sorride amaramente e si riflette, nel film di Davide Ferrario. Sempre dietro a Walter e ai suoi giri a vuoto per il centro, sui tram, nei centri commerciali, nelle discoteche (dove però arriva sempre troppo presto, quando ancora sono vuote). Impegnato a fantasticare di essere il padrone del mondo, lontano dalla normalità e con la sola consolazione della spontaneità di sua zia (Caterina Caselli in un gustoso cammeo), spirito libero con il pallino per la meditazione.

E pur con i suoi evidenti limiti (l’eccessiva caratterizzazione dei personaggi che ruotano attorno al protagonista, dall’esuberante Valeria/Benedetta Mazzini al suo ragazzo spacciatore Tommaso Ragno, passando per la pedante addetta alle poste Luciana Littizzetto) il film riesce a restituire  con ironia e dolcezza il malessere di una generazione, o forse solo di un giovane uomo a cui un acerbo Mastandrea regala tutto di sé.

Il suo Walter sta solo cercando il suo posto nel mondo. O nella sua Torino. E potrebbe trovarlo proprio in quella normalità che tanto disapprova.

Francesca Paciulli

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