Interrogation (Vetri Maaran, 2015)

di Victor Musetti.

Vero pugno nello stomaco, insieme a Beasts of No Nation, di questa edizione della Mostra del Cinema di Venezia, Interrogation di Vetri Maaran è stato presentato nella sezione Orizzonti portandosi a casa il premio Amnesty International Award for Human Rights. Tratto dal romanzo Lock Up di Chandra Kumar, libro che in India scatenò un grande dibattito pubblico sulla violenza delle forze di polizia, Interrogation cerca di ricostruire alcuni avvenimenti ipotizzati da Kumar che spiegherebbero la scomparsa dei suoi compagni di cella durante i giorni di prigionia e di tortura.

Pandi, Murugan, Kumar e Afsal sono quattro amici Tamil immigrati nell’Andhra Pradesh, regione a maggioranza Telugu, in cerca di lavoro e di fortuna. I quattro, che non avendo abbastanza soldi per pagarsi un affitto dormono in un parco, vengono arrestati senza un apparente motivo dalla polizia locale, trascinati in caserma e picchiati brutalmente. Si chiede loro di confessare un crimine che non hanno commesso, una rapina avvenuta pochi giorni prima e di cui si cercano in fretta i colpevoli per poter chiudere il caso.

Interrogation è diviso piuttosto nettamente in due parti. La prima, che si basa sull’esperienza diretta del sopravvissuto Kumar, ci mostra senza sconti le terrificanti tecniche di tortura dell’interrogatorio, con scene estremamente disturbanti, complice anche una regia fatta di quadri fissi che tendono a creare una tensione quasi da film horror. La seconda parte invece è rappresentata dalle supposizioni di Kumar sulla sorte dei suoi compagni con i quali perse ogni contatto dopo la scarcerazione. Il film quindi cambia quasi di genere, diventando un thriller politico con molta azione e molti movimenti di macchina.

Questa divisione così distinta del film in due parti così radicalmente diverse tra loro crea uno squilibrio evidente nella credibilità generale della vicenda narrata. Se infatti la prima parte, scioccante e quasi insopportabile, fa del realismo più crudo la propria caratteristica dominante soffermandosi lungamente sul dolore e sulla sua sopportazione, nella seconda parte questo realismo si perde per una volontà di sceneggiatura di portare in vita alcune tesi cospirazioniste riguardanti i rapporti tra il governo e le forze di polizia. Assistiamo quindi a dialoghi piuttosto forzati in cui si cercano di rivelare alcune dinamiche, senz’altro vere, di voto di scambio e carrierismo tra i funzionari della polizia.

Ciò che però rende questi dialoghi meno interessanti rispetto al resto del film è proprio la loro eccessiva spettacolarizzazione. Tutto ciò che infatti nella prima parte corrispondeva ad un’immedesimazione pura con i protagonisti, poiché il punto di vista era quello innocente di chi subisce, non sa e non comprende ciò che gli sta accadendo, nella seconda parte, dove il punto di vista si allarga ad altri personaggi, diventa intrattenimento puro, con scene d’azione e un tendenza generale all’esagerazione figlia, è brutto da dirsi,  del cinema di genere americano. Detto questo è innegabile che il film sia un concentrato puro di tensione di fronte al quale è impossibile rimanere indifferenti. Diciamo che forse se si fossero messe maggiormente da parte le intenzioni accusatorie a favore di una narrazione più realistica si sarebbe potuto ottenere un capolavoro. Invece è solo un buon film di denuncia che farà parlare di sé più per i suoi contenuti che per la sua effettiva qualità.

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