Interruption (Yorgos Zois, 2015)

di Victor Musetti.

È impossibile non rimanere spiazzati di fronte all’assurdo e incomprensibile Interruption di Yorgos Zois, già a Venezia con due cortometraggi nel 2010 e nel 2012, quest’anno in Orizzonti alla 72esima Mostra del Cinema. Ispirato, a detta dello stesso Zois, dai fatti del teatro di Dubrovka a Mosca del 2002, in cui circa 850 civili vennero presi in ostaggio da un gruppo di separatisti ceceni, Interruption è, a dire il vero, quanto di più distante ci possa essere da un racconto ispirato alla realtà.

La trama, se di trama si può parlare, vede uno spettacolo teatrale, precisamente un adattamento moderno dell’Orestea di Eschilo, bruscamente interrotto da una banda di uomini e donne armati. Il loro leader, Alexander Vardaxoglou, prende il microfono e invita il pubblico a partecipare allo spettacolo. Da quel momento verranno dati degli ordini precisi agli attori i quali si troveranno a dover reinventare di continuo la messa in scena dello spettacolo fino a che il limite tra realtà e rappresentazione non sarà oltrepassato dall’inevitabile morte di uno dei partecipanti.

L’unico modo per affrontare un film come Interruption è quello di adottare nella misura più estrema possibile il concetto di sospensione dell’incredulità. Yorgos Zois infatti riesce a non rispettare alcuna regola drammaturgica facendo di Interruption una grande coreografia che, pur creando con la sua messinscena le basi per qualcosa di cinematograficamente molto potente, finisce per essere semplicemente un grande spettacolo teatrale che con il cinema non ha veramente niente a che vedere.

E fa di certo rabbia vedere dei grandi attori, un’ottima fotografia e alcune idee registiche molto valide completamente sprecati per un gioco fine a se stesso in cui ci si rifiuta categoricamente di affrontare nel dettaglio un rapporto umano o anche soltanto di dare un minimo spessore o una qualche motivazione ad un personaggio qualsiasi. La minaccia degli uomini armati non esiste, poiché le armi sono lì giusto per fare scena e nessuno in nessun momento mostra di essere spaventato o di volersi ribellare alla situazione in cui si trova. Il pubblico, indifferente, abbandona la sala e si rimette a sedere quando qualcuno usa finalmente la pistola per sparare.

Ma non puo’ interessarci niente a noi di ciò che sta succedendo a questa compagnia teatrale di cui non sappiamo niente e di cui non ci è dato sapere niente. E ci interessa ancora meno sapere le motivazioni del carismatico leader della banda, anche perché il suo è un puro gioco di retorica, di sfoggio intellettuale di concetti astratti, mentre persone sconosciute non hanno reazioni di fronte alla morte di una persona che dovrebbero conoscere molto bene. E se tutto quello che abbiamo visto fosse stata solo una rappresentazione, allora qual è la funzione del cinema in tutto questo? Quale motivo c’era di farne un film? Che sia soltanto un grande contenitore in cui inserire senza una logica idee formalmente interessanti? Qualunque cosa sia, come ogni opera d’arte non la si può definire tale finché non vi è almeno uno spettatore disposto a riconoscerla come tale. E Interruption di spettatori ne avrà sicuramente molto pochi.

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