di Victor Musetti.
Il regista ormai veterano Merzak Allouache, a 70 anni compiuti, torna a Venezia nella sezione Orizzonti con Madame Courage dopo essere stato in concorso due anni fa con l’ultimo apprezzato Les Terrasses. Allouache è uno che gira molto in fretta, riprese di 10-20 giorni e budget risicatissimi. Questo perché per le tematiche di cui tratta, in Algeria, trovare fondi dallo Stato è un’impresa praticamente impossibile e bisogna, quindi, inventarsi un modo di produrre a basso costo e in tempi molto ristretti con quel poco che si ha a disposizione.
In Madame Courage la storia è quella di Omar, un giovane vagabondo che vive per le strade di Algeri facendo scippi e assumendo droghe. Un giorno dopo aver rubato una collana ad una ragazzina, Omar non riesce più a levarsi dalla testa il suo volto e decide di restituirgliela. Da quel giorno non smetterà più di seguirla e passerà giornate e notti intere seduto di fronte a casa sua con lo sguardo rivolto verso la sua finestra. Nel frattempo sua sorella è finita nel giro della prostituzione online ricattata dal suo futuro sposo, uomo violento e senza scrupoli. Questo fatto spingerà Omar a cercare vendetta, cosa che lo trascinerà in un circolo di violenza senza fine.
Allouache è un militante del realismo cinematografico. E lo si vede bene nel suo rifiuto ad adottare qualsiasi estetismo di messa in scena. Girato in larghissima parte con luci naturali, Madame Courage è un film che deve moltissimo all’influenza dei fratelli Dardenne, dei quali si ritrova, a partire dall’uso programmatico della macchina a mano, con un taglio quasi documentaristico, un’idea di cinema socialmente impegnato e sempre “dalla parte dei più deboli” estremamente presente soprattutto nel cinema belga e francese di oggi.
Se si volesse criticare qualcosa nel film di Allouache ci si potrebbe concentrare sul suo rifiuto totale di tirare le fila del discorso, da qualunque punto di vista lo si guardi. Nessuna delle storie raccontate infatti va in una direzione precisa, anzi. Non ci sono obbiettivi per un personaggio come Omar proprio perché la sua vita si svolge così, priva di ambizioni, idee, progetti che vadano al di là della volontà istintiva di un momento. Proprio per questo una potenziale linea narrativa come quella della ragazzina di cui Omar è ossessionato si conclude in un nulla di fatto, proprio perché non c’è in lui un’idea di ciò che succede nella sua vita che possa andare al di là di un semplice istinto animalesco di voler fare qualcosa in un preciso istante.
E se prevedibilmente è nella violenza che vediamo andare a finire gli sforzi di una vita ai margini e costantemente appesa a un filo, è altrettanto inutile aspettarsi da un ossessionato dal realismo come Allouache di portare il film sul terreno del cinema di genere. E proprio per via di questa visione della propria arte così coesa e rigorosa Allouache non ha in serbo alcuna gratificazione per lo spettatore, nessuna ricompensa che possa risollevarlo dalla desolazione emotiva di questo film. Perché, c’è da dirlo, è impossibile emozionarsi davvero per un ragazzo come Omar. Lo si può al massimo comprendere, ma il nostro sguardo rimane distante e impotente, proprio quanto lo è il suo di fronte alla ragazza di cui è innamorato ma che preferisce guardare da lontano seduto in un angolo senza fare niente.