Pecore in erba (Alberto Caviglia, 2015)

Il mistero buffo delle pecore in erba

Molta attenzione è stata riservata a questo anomalo mockumentary italiano in competizione nella sezione Orizzonti della 72esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia. Un prodotto che sorprende moltissimo per solidità produttiva e, soprattutto, per la quantità di star e personaggi pubblici che è riuscito a mettere in mezzo.

Cosa hanno pensato i vari Augias, Brass, Mentana, Fazio, Sgarbi, Freccero, Canova, Gipi, De Bortoli e gli altri al momento in cui hanno acconsentito di collaborare con questo progetto? Qual è il fine ultimo di questa satira a metà strada tra Lercio e Maccio Capatonda?

Diritto all’odio

Pecore in erba è la storia fittizia di Leonardo Zuliani, giovane e brillante ragazzo antisemita diventato una sorta di icona nazionale in Italia, inizialmente grazie a un fumetto di successo, poi come stilista e infine come scrittore, arrivando a essere uno dei personaggi pubblici politicamente più influenti del belpaese.

Il film è quindi una riflessione a posteriori, vista la scomparsa di Zuliani avvenuta da numerosi anni, sull’importanza dell’antisemitismo e sul valore del diritto all’odio e al razzismo.

In chiave umoristica ma, anzi, spesso e volentieri proprio demenziale, si intervistano quindi i familiari, gli amici e tutte le persone che negli anni si sono incrociati con lui e con le sue attività.

Lo schema della risata

Alberto Caviglia confeziona una sorta di lungo servizio del Tg di Mario di Maccio Capatonda in cui racconta passo dopo passo la storia della vita del fantomatico Leonardo Zuliani, alternando fotografie a scene di fiction (poche) recitate per ricostruire determinati eventi.

Lo stile schematico, che è appunto quello di un lungo servizio televisivo, è interessante per introdurre il tono e il ritmo del film, ma è inutile dire che il meccanismo fatica molto ad arrivare agli 85 minuti di durata senza provocare qualche sbadiglio.

Il film però, c’è da dire, fa ridere, a volte moltissimo, anche se è giusto notare quanto il tipo di umorismo che propone non sia di certo alla portata di tutti e, anzi, sia più che altro orientato verso una fascia di pubblico più giovane e familiare con internet, a cui il film fa involontariamente continuo riferimento.

Peccato che questo pubblico Pecore in erba non lo vedrà quasi sicuramente mai vista l’ambiguità di destinazione di un prodotto come questo, specialmente se presentato in un Festival dove a farla da padrone è il cinema con la “C” maiuscola.

Un’incognita

Il film di Caviglia quindi è un prodotto a metà, che suscita ilarità in chi già si sente complice del meccanismo di umorismo demenziale a cui fa riferimento ma che, al tempo stesso, esclude a priori tutta una fascia di pubblico che non solo del film non capirà niente, ma soprattutto non avrà alcun mezzo di decodificazione dello stesso che gli permetta anche solamente di svilupparci sopra una qualsiasi sorta di riflessione.

Si ricorderanno con piacere alcuni sketch esilaranti, per esempio quello dei terroristi che alle parole del paninaro romano “Ma ‘o metto er ketchup?” iniziano a sparare, oppure la geniale e insensata partecipazione di Magalli, ricercato numero 1 dei terroristi di Al Qaeda.

Per il resto il futuro di questo film è un’incognita. Di certo è sempre un bene quando in Italia si dà spazio a un tipo di prodotto completamente inedito come questo; resta da vedere cosa deciderà di farne il pubblico delle sale.

Victor Musetti

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