Sense8 - CineFatti

Sense8: La rivincita delle Wachowski

La serialità si rinnova con lo spirituale Sense8.

Se c’è una cosa di cui il cinema ha bisogno è l‘ambizione, un’arma a doppio taglio da cui gli autori devono difendersi e allo stesso tempo lasciarsi attaccare. Le sorelle Wachowski non hanno mai avuto carenze in questo settore, sin dai tempi di Matrix il loro obiettivo è sempre e solo stato uno: cambiare il modo di fare cinema.

Col loro capolavoro cyberpunk del 1999 dettero una nuova veste al cinema d’azione e di fantascienza, aiutando anche l’industria della moda a riconsiderare i cappotti di pelle. Ma Lilly e Lana non si accontentarono, andarono ancora più a fondo coi sequel Reloaded e Revolution per mostrare le potenzialità del CGI in Speed Racer, i limiti della narrazione con Cloud Atlas e l’importanza del world building in Jupiter Ascending.

Few know what it means to be reborn a sensate.
(Jonas Maliki)

Nel 2015 Lilly e Lana Wachowski hanno tentato una nuova strada cambiando mezzo di comunicazione: la televisione o, per essere più precisi, lo streaming di Netflix che partecipa allo stesso gioco del piccolo schermo con l’obiettivo di cambiarne le regole e diventare una nuova forza nel mercato dell’audiovisivo.

Come nasce Sense8

Due entità composte di ambizione ed entusiasmo e il risultato è stato Sense8, una serie che potremmo già definire una delle migliori in assoluto di Netflix e tra le più belle degli ultimi anni. E siamo solo alla prima stagione, sperando che la sua enorme complessità non la releghi all’universo delle prime troncate dai mancati ascolti. Incrociamo le dita.

Se in Cloud Atlas era il tempo a dividere le persone, in Sense8 è lo spazio: siamo nei giorni della globalizzazione e delle culture interconnesse quando, in una cattedrale abbandonata di Chicago, una donna (Daryl Hannah) è in preda a dei dolori atroci, assistita da Jonas Maliki (Naveen Andrews, il caro Sayid di Lost).

In pochi minuti iniziamo a capire che il duo è inseguito da un uomo per essere distrutto e che lei, Angel, sta partorendo. Non si tratta di un semplice bambino, non è incinta, è la sua mente, il suo cervello che produce un figlio, uno sciame.

Così si chiamano (cluster in originale) i sensate, gruppi di 8 persone nate lo stesso giorno che all’improvviso si trovano legate l’una all’altra: ovunque si trovi ognuno di loro è possibile condividere emozioni, sensazioni e talenti.

Così nel pilota Sense8 ci presenta i nostri protagonisti: Will Gorski (Brian J. Smith) agente di polizia di Chicago; Riley Blue (Tuppence Middleton) una dj islandese che per fuggire al proprio passato si è trasferita a Londra; Lito Rodriguez (Miguel Angel Silvestre) una celebrità del cinema messicano che nasconde la sua omosessualità.

Nomi Marks (Jamie Clayton) transgender con un passato da hacker e ora blogger politico; Sun Bak (Doona Bae) una stella della boxe underground di Seoul nonché donna d’affari nella potente azienda di famiglia; Capheus (Aml Ameen) un pacifico autista d’autobus di Nairobi con la passione per Van Damme.

Kala Dandekar (Tina Desai) farmacista di Mumbai in procinto di sposare il suo capo di cui non è innamorata; Wolfgang Bogdanow (Max Riemelt) ladro di Berlino capace di scassinare qualunque cassaforte e in conflitto con un’organizzazione criminale.

Questi sono solo i protagonisti, cui si aggiungono altri personaggi più o meno rilevanti. Ma le Wachowski si concentrano questa volta sulla comunità LGBT  sono entrambe transgender – mettendo in risalto il ruolo della compagna di Nomi, Amanita (Freema Agyeman) e l’amante segreto di Lito, Hernando (Alfonso Herrera).

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Tanti fili, un solo gomitolo

Si può immaginare già adesso: Sense8 non è una serie facile da seguire, ma qui sta l’inghippo. Sense8 non è una serie, è piuttosto un film lungo 10 ore diviso in 12 parti: non esiste una linea di demarcazione tra un episodio e l’altro.

Sense8 è un flusso costante di eventi atti a spiegare le sottotrame riguardanti ogni personaggio, trasformando il prodotto Netflix in un’opera multi genere: mescola fantasy e fantascienza col tema dei sensate, ha enormi stralci sentimentali, è un prison movie, un thriller e a suo modo anche un film con una forte voce politica.

Siamo tutti connessi, il mondo è uno, io è noi.

Allo stesso modo Sense8 è uno e il suo più grande difetto è l’essere diviso: Netflix consente allo spettatore di poter vedere tutti gli episodi uno dopo l’altro e sembra essere l’unico modo in cui è possibile apprezzare il serial.

Quanti piccoli dettagli poi rivelatisi importanti possono essere ricordati se gli episodi sono visti a distanza l’uno dall’altro? Cosa dire dei molti personaggi secondari, ognuno dei quali rilevante per la storia del principale di riferimento, persi nel mare magnum degli otto plot, solo in parte intrecciati tra loro?

Il più delle volte Sense8 è solo condivisione, la rappresentazione di un universo in cui nessuno è solo ma è accompagnato dalle emozioni e le esperienze del prossimo, più vicino a noi di quanto possa sembrare.

Il risultato è l’unione fa la forza, più scene in cui ogni personaggio va in aiuto di un altro sfruttando la propria capacità peculiare, vuoi il talento di combattente del criminale, il poliziotto e la boxeur o la chimica della farmacista.

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La regia rende questa fusione coinvolgente. Tagli di montaggio rapidi mostrano personaggi diversi in luoghi inaspettati, con le coreografie che reggono a ogni sottile cambiamento di persona, a volte mutata impercettibilmente davanti agli occhi dello spettatore.

Le scene d’azione le Wachowski sanno ancora come dirigerle, dei minispettacoli di rara bellezza quando queste ultime sono prolungate, talvolta un pelino troppo sensazionaliste e convenienti per il proseguimento della storia, ma un toccasana per rivitalizzare momenti di stallo in cui la serie ha magari ceduto troppo a generi meno apprezzati dal pubblico.

Facile che il cinefilo medio sarà il primo ad applaudire Sense8 rispetto a quello televisivo, più a caccia di emozioni forti in tempi ristretti.

Una collaborazione a più livelli

A gestire questi tempi ha contribuito quella che potremmo definire la scuola delle Wachowski, registi della maggior parte degli episodi. Hanno fatto il loro ingresso in scena anche il tedesco Tom Tykwer, co-regista insieme al duo dello stupendo Cloud Atlas e autore dell’ormai classico Lola corre; l’americano James McTeigue, in caduta libera dai tempi di V per Vendetta (prodotto dalle Wachowski) e Dan Glass, mago degli effetti speciali e loro collaboratore dagli inizi qui alla sua prima esperienza di regia.

Potremmo definirla un’impresa familiare, favorita dagli executive di Netflix che certo non si sono opposti, se non fosse per il terzo vero nome di spicco di Sense8J. Michael Straczynski. Una garanzia per gli appassionati di sci-fi, che sicuramente lo ricorderanno come autore della space opera televisiva Babylon 5, andata in onda per cinque anni dal 1993 al 1998.

L’esperienza televisiva di lunga data di Straczynski ha contribuito a conferire solidità al testo delle Wachowski, a volte perse tra le nuvole – come con Jupiter Ascending. In particolare alcuni momenti chiave sono fin troppo effimeri, dettaglio osservabile sotto due punti di vista opposti: lo si può definire un vantaggio se ci si abbandona all’ottica spirituale della narrazione, richiedente un atto di fede di grandi proporzioni, ma si trasforma in svantaggio se invece quanto si desidera sono i fatti nudi e crudi.

Trattandosi di una serie in divenire Sense8 per quest’aspetto è la più vicina a Lost, che dalla sua aveva però accumulato una moltitudine di domande nate da eventi tangibili, molte delle quali senza risposta, mentre la nostra in esame presenta le sue con un approccio organico che permette di assorbirle anziché elencarle come, appunto, una serie di numeri misteriosi.

È una partita aperta con lo spettatore e né FringeThe Leftovers, le serie sopravvissute che siamo abituati ad accostare a Lost, possono considerarsi appartenenti al genere di format televisivo cui LostSense8 appartengono.

Col tempo avremo tuttavia modo di vedere quanto le Wachowski e Straczynski sapranno abbracciare questa eredità, in cui è sottinteso ovviamente come un giudizio elevato spetti sempre alla creatura della ABC; vedremo se e quanto sapranno distaccarsi e diventare un nuovo prodotto mediatico a sé stante.

Con questa prima stagione possiamo affermare come finalmente siano stati introdotti i presupposti perché dopo dieci anni si possa nutrire la speranza che la televisione degli Stati Uniti – non l’unica a vivere un’epoca d’oro – possa avere la sua rivoluzione.

Fausto Vernazzani

 

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3 pensieri su “Sense8: La rivincita delle Wachowski

  1. Ottima recensione, complimenti. Aggiungo anche che solo in pochi riescono a trasmettere emozioni così potenti con un prodotto che di fatto non è perfetto. Se è vero che i Wachoski riescono a girare in maniera sublime le scene puramente cinematografiche, è anche vero che spesso i dialoghi sono pieni di spiegoni e banalità. Questo però non inficia la resa del prodotto. Un unico difetto ho trovato imperdonabile: se vuoi dirmi che gli esseri umani sono molto più simili tra loro rispetto a ciò che pensiamo, allora non puoi farli parlare tutti in inglese. Il contrasto tra le loro differenze culturali e le loro similitudini emozionali non funziona se la lingua è appiattita. Mia personale opinione. :)

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    1. La tua personale opinione sul linguaggio è più che condivisa, ma credo sia una comprensibile e accettabile scelta di mantenere basso il rischio. Uno show con costanti cambi di lingua penso sarebbe stato un disastro per il pubblico principale per cui è stato pensato: gli USA. Per noi che all’estero siamo abituati a vedere film di ogni nazione sottotitolati forse non sarebbe stato un problema, ma lì temo di sì! In ogni caso ci sto a prendermi questo difetto e a tenermi tutto il resto, ci sono episodi con scene anche molto ruffiane che però mi sono rimaste dentro, i Wachowski hanno una profondità di pensiero incredibile, non equiparata dalle capacità narrative, ma che quando si incrociano… sono fuochi d’artificio :D

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