Hard to Be a God

Hard to Be a God (Alexei Guerman, 2013)

In Hard to Be a God sopravvive un’idea di cinema radicale che forse scomparirà.

Alexei Guerman, scomparso il 21 Febbraio 2013 all’età di 74 anni, è un regista tanto importante quanto poco conosciuto. Questo perché in 50 anni di attività è riuscito a realizzare soltanto sei film, in parte a causa dei numerosi tentativi da parte delle autorità sovietiche di ostacolarne la produzione, dall’altra a causa della natura stessa delle sue opere, imponenti, controcorrente e di difficile realizzazione. È considerato, insieme ai connazionali Tarkovsky e Sokurov, uno dei registi che più hanno rivoluzionato il cinema russo nell’ultimo mezzo secolo.

Hard to Be a God è in un certo senso il testamento e l’opera magna di un autore assoluto. Un lavoro monumentale che ha richiesto 14 anni per essere portato a termine, di cui ben 6 di riprese.

Adattamento di un celebre e omonimo romanzo di fantascienza del 1964 dei fratelli Arkadij e Boris Strugackij, autori tra l’altro di Picnic sul ciglio della strada da cui Tarkovsky trasse il suo Stalker. Hard to Be a God è un viaggio ai limiti dell’assurdo in un pianeta non molto lontano dal nostro.

Un gruppo di scienziati viene inviato ad Arkanar, la capitale, per studiare da vicino il progresso di una società che sta attraversando un periodo che corrisponde perfettamente al medioevo terrestre. Tra questi osservatori vi è Don Rumata, uomo corpulento e carismatico che, sotto mentite spoglie, si integra tra la popolazione incarnando il ruolo di un semi dio, immune e venerato da tutti.

Lo spettatore incarna un ruolo a propria volta, quello dell’osservatore interno, anch’egli intoccabile ma partecipe e presente in questi spazi. I personaggi che li popolano guardano spesso in macchina, hanno coscienza del nostro sguardo, cercano di attirare la nostra attenzione. Don Rumata, a sua volta, si fa spazio tra la gente, continuamente ammucchiata l’una sull’altra, facendoci toccare e sporcare da tutti, in un circo del nauseabondo e dell’assurdo.

La grandezza di questo mondo, l’incredibile quantità di personaggi e di azioni che si svolgono contemporaneamente non possono non far pensare al Faust di Sokurov, che però aveva dalla sua parte un’accessibilità di lettura e una linearità narrativa molto più al servizio dello spettatore.

Niente di ciò che è scritto nella sinossi è infatti comprensibile con la sola visione del film. Questo perché non vi è nessuna narrazione che non sia il semplice movimento della macchina da presa e la costante di un personaggio che guidi il nostro percorso. Hard to Be a God è un po’ come vedere Aguirre Furore di Dio girato da Ciprì e Maresco, ma sotto una produzione russa. Una summa cinematografica di incredibili trovate di messa in scena, in cui dietro l’apparenza (voluta) di un’assenza di estetica nella costruzione delle inquadrature, vi sono invece un utilizzo delle scenografie, della profondità di campo e dei movimenti della macchina da presa che non smettono mai di lasciare a bocca aperta.

Hard to Be a God, pur essendo un viaggio vero e proprio che coinvolge tutti i nostri sensi, è un film lunghissimo e di difficilissimo accesso che pochi riusciranno ad apprezzare fino in fondo. È un film che va al ritmo della vita vera, scandito da lunghissimi piani sequenza in continuo movimento, dove lo stupore per ciò che viene messo in scena è talmente alto da non essere assimilabile tutto in una volta. In un certo senso il lavoro di Guerman è talmente straordinario da superare la nostra soglia e capacità di apprezzamento, rendendosi alla lunga inconcepibile, incomprensibile e lasciandoci spaesati e sfiniti.

È in un certo senso, una delle ultime testimonianze di un’idea di cinema destinata sempre di più a scomparire nel tempo. Il testamento di un autore radicale e necessario che ha vissuto gran parte della sua vita nel tentativo di portare a termine il suo progetto più importante, che era proprio questo. È morto a pochi mesi dalla sua presentazione al Festival di Roma, in un paese (l’Italia) che non ha mai visto distribuito alcuno dei suoi film e che soltanto oggi si accorge della sua grandezza facendone una leggenda.

Victor Musetti

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