Il regno d’inverno – Winter Sleep (Nuri Bilge Ceylan, 2014)

Nuri Bilge Ceylan è un regista che non conosce mezze misure. Giunto al suo settimo film con Il regno d’inverno – Winter Sleep dopo i due acclamatissimi (soprattutto a Cannes) Le tre scimmie e C’’era una volta in Anatolia, il maestro turco sembra voler mostrare un decisivo cambio di rotta a chi in passato lo ha etichettato come autore inaccessibile capace soltanto di mettere in scena silenzi interminabili nella contemplazione di spazi sconfinati. Ma se da una parte questo cambio di rotta poteva far pensare a uno snellimento della forma a favore di uno stile e un linguaggio più fruibili, ci si rende presto conto di quanto la direzione presa da Ceylan sia ben più estrema e di difficile accesso che in passato.

La storia ruota attorno a Aydin (Haluk Bilginer), ex attore in pensione che trascorre le sue giornate nell’’hotel di sua proprietà, una incredibile e suggestiva meta turistica per viaggiatori di ogni genere, la cui particolarità risiede nel suo essere letteralmente scavata nella pietra dell’altopiano anatolico.

Con lui vivono la moglie Nihal (Melisa Sözen), giovane donna annoiata e bisognosa di espiare la colpa dei propri privilegi facendo beneficenza e la sorella Necla (Demet Akbag) reduce da un divorzio finito male e colma di risentimento verso il fratello. Un piccolo incidente con degli affittuari debitori provocherà una reazione a catena che porterà a galla veleni e risentimenti tra i membri della famiglia.

Dichiaratamente ispiratosi a Shakespeare e Cechov, Ceylan più che un film vuole fare un romanzo, crogiolandosi nella propria ambizione e trascinando i propri personaggi in estenuanti conversazioni fiume che arrivano a toccare anche la mezz’’ora di durata.

Ma qual è davvero l’’interesse per un autore del suo calibro di mettere così a dura prova la pazienza dello spettatore? Non vi è infatti alcun espediente narrativo forte che giustifichi le tre ore e un quarto di durata del film, se non il semplice e chiaro partito preso di voler fare un’’opera estrema dando sfoggio delle proprie incredibili capacità in termini di direzione degli attori.

Ed è inutile dire che con tutto il tempo che ha a disposizione Ceylan qualche sequenza veramente degna di nota ce la regala, penso all’’irruenta cattura del cavallo con un magnifico stacco di montaggio o alla bella scena di caccia in mezzo alla neve.

Ma si tratta sempre e comunque di piccoli e isolati sprazzi di vitalità sommersi da fiumi e fiumi di parole, perché il film vuole parlare dei suoi personaggi. E in questo senso bisogna dare atto della complessità con cui sono affrontate le questioni tra di loro.

Perché di spunti e di contenuti degni di nota questo film ne è pieno fino al midollo, ma è evidente che una semplificazione in fase di sceneggiatura avrebbe giovato notevolmente all’’impatto e all’accessibilità del suo messaggio.

Quello che viene fuori infatti è un film quasi claustrofobico, in cui le dinamiche relazionali, sempre risolte a due a due in spazi angusti e poco illuminati, prendono completamente il sopravvento sul quadro complessivo della vicenda.

Si percepisce un certo senso di ansia, una mancanza di ossigeno che ci porta a desiderare di vedere qualcosa di più di questi incredibili paesaggi dove la vicenda è ambientata. Perché se c’’è una sensazione forte che Il regno dell’inverno – Winter Sleep provoca dopo la visione è proprio il desiderio di stare zitti per il resto della giornata.

Pensare che la Palma d’’Oro dovrebbe essere un veicolo per avvicinare le persone al cinema più nascosto. Perché al di là dei meriti e del valore artistico Il regno d’inverno – Winter Sleep è cinema che scoraggia e che piacerà soltanto a una ristretta schiera di affezionati.

Victor Musetti

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